giovedì 16 aprile 2009

XXXX Party.

Agenzia X in pink, black, green.

@ Surfer's Den
(via mantova 13, milano)

Venerdì 17

La Sfiga è di Chi Non Viene.

h 19/24

Muzik by Stecco

XXXX ????

alle 21:30 Sorpresa Postpasquale...

carovana sport sotto l'assedio / 4

Terzo giorno a jayyus. 8 aprile 09

La giornata di oggi è cominciata con una piacevole sorpresa.
Mentre i bambini della pre scuola del charity center facevano il saluto al sole prima di entrare in classe guidati dai 'maestri' della Murga, il nostro amico Noor ci svegliava mandando dal suo telefonino un pezzo di Dj Gruff che avevamo scaricato ieri all'internet point dove lavora. Noor è un volontario del Charity, che ci accompagna nelle attività di questi giorni. Oltre alla sua militanza come volontariato, Noor che ha 20 anni, studia all'università di Qalqilya e con suo padre lavora i campi al di là del muro. Stamattina abbiamo scoperto che oltre ad avere tutte queste qualità ama il rap ed ha un ottimo orecchio musicale avendo scelto tra le tante tracce scaricatie prorpio un pezzo della storia dell'hip hop!

Dopo la colazione, per la prima volta in due anni non a base di falafel e patatine fritte, siamo scesi a giocare con i bambini per la ricreazione. Nel Charity center ci sono 5 classi di bambini dai 4 ai 6 anni che prima di accedere alla scuola elementari (a 7 anni) studiano niente meno che arabo matematica e inglese, meglio delle tre « i » (informatica, inglese e impresa) di Berlusconi!

Mentre il Duka inaspettatamente già da ieri, al parco giochi, si è rivelato un catalizzatore dei giochi più stupidi da fare con i bambini (tipo il battimano, i compagni del forte hanno le prove video) oggi si é cimentato nel dipingere le facce dei bambini aprendo una diaspora con la Murga sullo stile del body painting: guerrieri della notte (gang dei baseball furious) versus cuoricini, black flag versus flower power.

Oggi girando per il paese, la gente cheabbiamo incontrato per strada e nei negozi, ci ha espresso la propria solidarieta' per la tragedia del terremoto in Abruzzo e la loro profonda graditudine per la nostra attiva presenza a Jayyuss nonostante la situazione difficile in Italia.

Tra le storie di ordinaria violenza quotidiana a jayyus, mentre ci trovavamo nel campo di pallavolo ci é stato chiesto di rientrare al Charity center perche' i soldati israeliani, di turno al gate sud, stavano entrando nel paese. Dopo l'allarme iniziale, per paura di possibili rastrellamenti della popolazione civile, ci e' stato spiegato che i soldati israeliani al gate sud in seguito al lancio di qualche sasso da parte dei bambini avevano subito sparato proiettili di gomma ferendo, per fortuna lievemente, un ragazzino.

Per il gruppo di jayyus oggi é stata una giornata ricca di incontri con l'associazione sportiva, con le donne e con il gruppo di internazionali EAPPI.


SPORT

I rappresentanti dell'associazione sportiva hanno per prima cosa sottolineato che il problema principale per praticare e sviluppare lo sport in Palestina è l'occupazione.

Questa affermazione che a prima vista puo' sembrare retorica è dimostrata dall'impossibilità di muoversi per disputare partite, in particolare con le squadre della striscia di Gaza, costrette a incontrare gli altri team solo in campionati o tornei in Siria e libano. Il complesso di giocare sempre un derby continuo con la stessa squadra.

La seconda motivazione è ancora più pesante, riguarda proprio le « risorse umane » a disposizione dell'allenatore. Per fare solo un esempio, la squadra di pallavvolo maschile di jayyus campione nazionale, da un mese ha un giocatore in meno e non a causa di un infortunio. Un mese fa durante una retata dell'esercito israelino, come rappresaglia alla manifestazione che tutti i venrdi' la popolazione organizza contro il muro, un centinaio di ragazzi del paese sono stati rastrellati a caso ammanettati, bendati e chiusi per oltre 50 ore nella scuola del paese insieme ai militari. A causa di questo episodio molti bambini, con cui abbiamo parlato, ancora oggi hanno gli incubi. Il risultato dell'operazione è stato 15 feriti e 13 arrestati tra i cui un membro della squadra di pallavolo, di cui attualmente non si hanno notizie. Altro tragico esempio riguarda la nazionale di calcio palestinese: due membri fondamantali della squadra sono morti durante l'operazione piombo fuso, a Gaza, sotto le bombe.

Da parte di sport sotto l'assedio c'é stata la proposta di inviare aiuti per le strutture sportive della città e fare in modo che la squadra di jayyus venga in italia per perfezionarsi e giocare con altre squadre italiane e informare su quanto succede in Palestina.


DONNE

L'incontro con le donne é stato molto partecipato. Un gruppo di ragazzi e ragazze della carovana ha acsoltato le testimonianze di nove donne di jayyus che fanno parte di un'associazione che raccoglie tutte le donne del paese. Al pari degli uomini tutte le donne condividono in primis la lotta contro l'occupazione israeliana e allo stesso tempo lo sforzo per il miglioramento della qualità della vita delle donne che passa attraverso l'accesso all'istruzione universitaria. Come ci hanno raccontato l'ottanta per cento delle ragazze del villaggio frequenta l'università.

Anche in questo caso l'occupazione ha peggiorato la situazione femminile. Prima dell'occupazione le donne non avevano problemi specifici ma lavoravano e studiavano come gli uomini. In seguito all'occupazione l'effetto più immediato é stato l'innalzamento della paura soprattutto per le violenze dei soldati israeliani, non solo come violenza fisica, ma anche psicologica legata all'umiliazione.

Come ci raccontavano ieri, davanti al gate, molte donne non accompagnano più gli uomini nel lavoro dei campi per non subire l'umiliazione della perquisizione fisica (nella cultura musulmana il contatto fisico con un uomo non della famiglia è considerato una umiliazione e una violenza) da parte di soldati mancando spesso le soldatesse ai check point.

Le donne sono protagoniste anche della lotta palestinese. Nella maggior parte dei casi sono prorpio loro ad aprire le manifestazioni del venerdi' per proteggere con i loro corpi i prorpi uomini e i propri figli, curano i feriti e durante il coprifuoco e i rastrellamenti sono le uniche che circolano per la città; sono loro quindi che garantiscono l'approvvigionamento e le comunicazioni. In caso di innalzamento del livello di scontro rivestono il ruolo di staffette.

Inoltre sempre più spesso le donne si trovano a svolgere le funzioni di padre/ madre quando gli uomini muoino o scompaiono durante il conflitto o quando sono detenuti nelle prigioni israeliane.
Nella sola città di jayyus (4200 abitanti) ci sono 6 martiri e 25 prigionieri.
A conclusione dell'incontro le donne ci hanno tenuto a sottolineare che se noi occidentali abbiamo una visione delle donne come vittime degli uomini della propria famiglia questo non è vero.

Le donne rivestono ruoli importanti nelle municipalità e partecipano alla vita pubblica a livello macro. Come obiettivo prioritario le donne hanno l'autodeterminazione del popolo palestinese. Sono alla ricerca non solo dei diritti delle donne ma principalmente dei diritti umani estesi a tutta la popolazione sia maschile e femminile.

Alla fine dell'incontro ci hanno mostrato le manifatture artigianali che producono per finanziare l'associazione e gli studi delle ragazze di jayyus.


INTERNAZIONALI

nella tarda mattinata abbiamo incontrato un gruppo di internazionali della Eappi. È un'associazione nata come programma ecumenico israelo palestinese fatto dal consiglio mondiale delle chiese su richiesta del capo delle diocesi di gerusalemme, ma aperta ad altre confessioni e a atei. Al momento i volontari presenti a jayyus sono 4 dalla Norvegia, Svizzera, Germania e Scozia. I gruppi sono organizzati in modo da alternarsi di tre mesi in tre mesi e non lasciare mai il paese scoperto.

Lo scopo della loro presenza è quello di soddisfare cio' che la popolazione palestinese richiede, mettendosi totalmente a disposizione senza la presunzione, tipicamente eurocentrica, di voler « calare dall'alto pratiche e soluzioni ». Sono presenti in 14 paesi differenti e qui in palestina in 6 luoghi differenti della west bank. Nello specifico i loro obiettivi sono:

cercare di proteggere la popolazione durante la manifestazioni di protesta, sperando che con la loro presenza i militari siani meno aggressivi. Tutti giorni si recano alle porte di accesso ai campi coltivati durante l'orario di apertura, per verificare il rispetto delle già assurde procedure di accesso e inoltre dispongono di una linea diretta telefonica per lamentare eventuali ritardi negli orari di apertura e chiusura nella prassi di accesso e eventuali soprusi da parte dei militari.

Il secondo obiettivo è il lavoro di controinformazione, per dare voce attraverso ,foto e report ,a cio' che non passa sui media main stream. Scrivono report settimanali alle nazioni unite sulle violazioni dei diritti umani, in particolare sulla condotta dei soldati israeliani.
Infine portano solidarietà alle comunità locali dove sono presenti soprattutto con corsi di perfezionamento della lingua inglese per studenti universitari.

L'importanza della loro presenza sul campo è testimoniata da un sondaggio che hanno fatto tra la popolazione palestinese da cui risulta che l'89 per cento trova indispensabile la presenza degli internazinali in genere.



Incontri sportivi della giornta


oggi era il turno del ping pong. I nostri ragazzi migliori in questo sport, figli di sessantottini che avevano militato in scrausissimi gruppi maoisti (tipo Stella Rossa, Servire il Popolo e Viva il Comunismo) Silvio e il Sogliola hanno vinto il grosso delle sfide a cui hanno partecipato. Finalmente sport sotto l'assedio ha trovato la disciplina per l'avvenire. Abbiamo anche vinto meritatamente una coppa per la sfida di pallavvolo. Migliori in campo Marco anna e Alessandro.

Passando alla pagina calcistica oggi giorno di riposo e di festa. Dopo la prestazione di ieri si sono prepotentemente rialzate le quotazioni del nostro allenatore Davide. Notizia dell'ultima ora di Al Jazeera è stato contattato da una squadra degli emirati arabi che vuole affidargli il settore giovanile.

La trattativa è per ora bloccata data l'alto ingaggio del nostro allenatore.

I vostri corrispondenti
duka e tanka

carovana sport sotto l'assedio / 3

Nel programma della carovana di oggi era previsto che il gruppo di Jayyus sarebbe dovuto andare a al valico Heretz per tentare di entrare a Gaza. Purtroppo quattro giorni prima della nostra partenza le autorità militari israeliane ci hanno fatto sapere che a nessuna delegazione sarebbe stato concesso di entrare a Gaza per motivi di sicurezza e perchè « li' non c'è nulla da vedere e nessuno da incontrare ». Cosi' la delegazione oggi è rimasta a jayyus a vedere con i prorpi occhi le difficoltà che i contadini palestinesi hanno nel raggiungere le proprie terre al di là del muro di recinzione. Il muro Costruito nel 2002 per motivi di sicurezza in realtà ha rubato terre coltivate palestinesi non rispettando i confini del 67, che prevedevano la sua costruzione sulla green line situata 10 chilometri più indietro.

Sotto un sole a picco sulle nostre teste abbiamo percorso la strada che i contadini fanno tutti i giorni per arrivare alla porta sud, aperta per un'ora tre volte al giorno. Abbimo potuto costatare come ci avevano spiegato ieri i ragazzi del Charity center, che il pass per coltivare le terre al di la' del muro viene concesso quasi esclusivamente a persone molto anziane. Durante la nostra sosta davanti alla porta sud, gli unici agricoltori che passavano erano vecchi su carretti trainati da muli. Ottenere il pass dal governo israeliano non é semplice, innanzitutto non bisogna avere in famiglia persone che sono state arrestate per attivita' politica, martiri o semplici attivisti. Inoltre gli ettari di terra posseduti dal capo famiglia vanno suddivisi per ciascun membro della famiglia, e se dalla divisione per ogni figlio risulta meno di un ettaro di terra per componente tutto il nucleo familiare non ottiene il pass. Inoltre la durata della concesione per coltivare la terra dura da tre a sei mesi, scaduti i quali, va rinnovata con un'attesa media di un mese e mezzo durante il quale non è possibile andare a lavorare. Questi sono solo alcuni dei modi che il governo israeliano usa per umiliare e impoverire la popolazione, impossibilitata a lavorare la terra e raccoglierne i frutti e a percepire un reddito per sopravivvere. Per molti giovani, come ci ha spiegato « dall'alto del suo trattore » un rappresentante del comitato per la liberazione delle terre di jayyus, l'unica possibilita' per costruirsi un futuro è lasciare la palestina per recarsi in europa a finire gli studi e cercare lavoro. Purtroppo solo i più fortunati riecono pero' ad uscire dal paese, perché qualunque peoblema con la giustizia israeliana comporta il diniego di emigrare. L'ennesima riprova che la palestina è davvero una prigione a cielo aperto.

Mentre scriviamo nel giardino del charity center siamo « circondqti » da decine di bambini che partecipano al laboratori di fotografia e sulle energie rinnovabili, mentre il resto del gruppo è in giro per il paese accompagnato dai tamburi della murga e dai graffitari che termineranno i graffiti iniziati ieri.

Dopo pranzo siamo andati a prendere un gelato e della frutta e il negoziante nel vederci ci ha ricordato la pesante sconfitta della partita di ieri finita 13 a 3. A quel punto è scattata la proposta per una rivincita fuori programma. I ragazzi sono scesi in campo finalmente motivati convinti delle proprie possibilità fino ad oggi inespresse. La nostra squadra ci ha fatto rivivere i fasti del calcio totale dell'olanda di Cruyff. Risultato finale a nostro favore 3 a 2, marcatori della giornata Sogliola, e doppietta di Rui « nano » Barros. Da notare la prestazione sopra le righe di Yuri che si è dimostrato un grande portatore di palla e un vero leader in campo, capace di tenere corta la squadra e dettare i tempi di gioco. I nostri sono stati semplicemente fantastici.

I vostri corrispondenti

duka e tanka

giovedì 9 aprile 2009

Carovana sport sotto l'assedio / 2

Continua il reportage dalla Palestina...

La giornata è iniziata presto con una abbondante colazione e in 53 siamo partiti dopo aver salutato gli altri gruppi verso jayyus, distretto di qalqilya , nel nord della west bank.
Abbiamo attraversato Betlemme ripercorrendo la strada che ieri ci aveva portato a Ramallah fino al ceck point di Abu dis. I militari dopo aver fatto i controlli di routine dei passaporti, rivedendo le stesse facce del giorno prima hanno deciso di farci perdere quasi un'ora, trattenendo per accertamenti di procedura la guida palestinese membro dell'associazione Stop the wall, partita con noi da Dheisheh. Alla fine una delegazione è scesa per recarsi al gabbiotto del ceck point e chiedere le motivazioni del fermo. I militari israeliani, capito che non ci saremmo mossi dal ceck point senza la guida, hanno deciso di lasciarla risalire e proseguire il viaggio con noi.
Durante il viaggio, piu' di ieri, era visibile davanti ai nostri occhi il sistema di apartheid in cui sono costretti i palestinesi. Prorpio prima di entrare a jayyus sorgono alcuni villaggi di coloni arroccati sulle colline sia per una questione strategica che di approvvigionamento idrico, cirondati dal filo spinato, eletrtrico e spesso dal muro. Una delle cose che ci ha più impressionato lungo il tragitto é stata una enorme discarica di rifiuti, tra cui quelli industriali, che gli insediamneti dei coloni riversano in territorio palestinese inquinando la poca acqua che arriva al villaggio di jayyus.
Arrivati con un'ora di ritardo sul programma a causa dei controlli, ci siamo sistemati al Charity center, un centro di sostegno alla popolazione. Dopo le presentazioni e il pranzo, siamo partiti con la banda della Murga aggregando un centinaio di bambini, muniti di fionde autocostruite, che ci hanno seguito per le vie di Jayyus.Con loro abbimo raggiunto il parco giochi della scuola dove abbiamo dipinto un murales, con la scritta in tre lingue « lo sport unisce, il muro divide ». Dalla scuola é ben visibile il tracciato del futuro muro di 5 km e mezzo, iniziato a costruire nel 2002, che circonda il paese impedendo l'accesso al 78 per cento delle terre coltivate. Per raggiungere i campi esistono solo tre varchi, controllati dai soldati israelini, che permettono l'accesso per tre volte al giorno tre volte a settimana, e solo con uno speciale pass rilasciato a discrezione del governo israeliano, al momento concesso - ci hanno raccontato i ragazzi di jayyus - solo a persone anziane. In un contesto basato sull'agricoltura tutto cio' ha impoverito notevolmenete l'economia locale, florida fino alla costruzione del muro, portando la disoccupazione al 75 per cento.
Passiamo alla pagina sportiva del nostro report. Continua la vergognosa serie di sconfitte della squadra maschile. La partita di oggi contro la squadra locale si è conclusa con il risultato di 13 a 3 a favore dei padroni di casa. E' evidente che la squadra ha bisogno di un cambio di gioco, giocatori e allenatore (n.d.r). Per rilanciare le sorti sportive della carovana confidiamo nella partita di pallavolo femminile di domani, augurandoci di cuore che il cambio di disciplina sportiva cambi il magro risultato.

Jayyus Il Duka e Tanka

lunedì 6 aprile 2009

Carovana Sport Sotto l'Assedio / 1

Il Duka è partito con la Carovana “Sport Sotto l'Assedio", in Palestina.
Riceviamo e pubblichiamo il diario, scritto da lui, Lory e Barbara.


PRIMO GIORNO

Colazione e conoscenza dell'Ibdaa Cultural Center

Ci siamo svegliati, dopo la prima notte, nel campo profughi di Dheisheh, dopo aver dormito in due strutture molto accoglienti. Tra baci e abbracci, davanti un'abbondante colazione, tra compagni e compagne di tutta Italia arrivati con voli diversi in Palestina, ci siamo buttati subito a capofitto in un'intensa giornata di lavoro politico e sportivo. Durante la mattinata, abbiamo fatto un incontro con lo scopo di conoscere le attività della laica struttura culturale che ci ospita, il centro di Ibdaa ("creare qualcosa dal nulla"). Giovani palestinesi ci hanno raccontato il lavoro che svolge il centro nel territorio di Dheisheh, uno dei 59 campi profughi palestinesi, creati nel '48, che concentra attualmente 12.000 persone dentro una superficie di ½ km quadrato. Tra i loro progetti più importanti possiamo menzionare l'ostello, il ristorante, lo sport, la danza, la musica, il teatro, la biblioteca, l'asilo per i bambini, il comitato di donne, un laboratorio di sartoria, l'ospedale e fra quelli futuri il media center e la Tv satellitare. Nonché, con grande sforzo economico, finanziare annualmente l'università per cinquanta ragazzi del campo. Trenta ragazzi vengono mandati a studiare in quelle palestinesi. I rimanenti studiano in atenei stranieri, per far fronte alla difficoltà di poter studiare in Palestina, a causa della perimetrazione del territorio, frammentato da muri, filo spinato, reti elettrificate, check point, posti di blocco e strade a scorrimento veloce percorribili solo da cittadini israeliani. “Insomma, sai quando esci di casa, ma non sai quando arriverai al lavoro, a lezione, all'esame”. Obiettivo del progetto educativo è quello di avere dei giovani formati, pronti a tornare e a socializzare le loro competenze e conoscenze con la propria comunità, con la speranza di poter creare una nuova classe politica che si discosti da quella corrotta attuale. Ci raccontano che esistono tre tipi di scuole: quella delle Nazioni Unite, quelle statali e quelle private che possono essere sia laiche che religiose. Quelle private sono molto costose e spesso propongono un maggior numero di materie. I programmi, invece, si equivalgono fra gli altri tipi di scuole. Passare l'esame di maturità è molto duro. Due gli istituti all'interno del campo gestiti dalle Nazioni Unite, una elementare e una media, che non riescono a coprire la domanda del campo. 7000, infatti, i bambini in età scolare costretti a doppi turni e stretti in classi di oltre 45 allievi. Un notevole carico grava sul ristretto corpo docenti quindi, formato solo da 13 insegnanti.

“Non abbiamo acqua d'estate ed elettricità d'inverno”: è questa una delle frasi ricorrenti nei racconti della mattinata. In base agli accordi di Oslo, i palestinesi non possono disporre delle risorse del sottosuolo, che sono quindi gestite dagli israeliani e rivendute ai palestinesi e la cui erogazione può essere sospesa arbitrariamente in qualsiasi momento. A Dheisheh l'elettricità arriva da un generatore situato a Gerusalemme. Se un cavo dell'impianto si rompe, il campo può restare anche per giorni senza luce, perché la società erogatrice reclama bollette non pagate. Considerando che il 65% della popolazione è disoccupata ed i pochi che lavorano vengono sotto pagati ... immaginiamo i lunghissimi inverni senza elettricità e quello che ne comporta.


In pellegrinaggio verso lo stadio...

Dopo la riunione, siamo saliti sui pullman per raggiungere lo stadio di Al Ram nei pressi di Ramallah dove si sono disputati i primi due incontri di calcio della carovana. Questo trasferimento ci ha permesso di vivere in prima persona quelle che sono le difficoltà quotidiane riguardo la mobilità vissute dai palestinesi e di vedere con i nostri occhi le barriere architettoniche che hanno reso possibile questo sistema di apartheid. Check point a parte, ci ha colpito l'autostrada riservata ai cittadini israeliani che collega in soli 20 minuti l'insediamento di coloni Maali Adumin con Gerusalemme. Noi, per arrivare a Ramallah, invece abbiamo impiegato circa un'ora e mezza, percorrendo tre volte tanto la distanza che ci divideva dalla nostra meta. Altro particolare inquietante, oltre alle barriere autostradali, le centinaia di ceppi di olivo decapitati che affioravano dal terreno spaccato dal sole. Olivi secolari, lavoro e risorsa di almeno tre generazioni di uomini e donne, costretti ora ad acquistare l'olio altrove.


La disfatta di Al Ram

Alle 14.00 siamo giunti nello stadio, l'unico regolamentare riconosciuto dalla Fifa nei Territori Occupati, campo di gioco della loro Nazionale. Ad attenderci, oltre la Nazionale under 18, il calore e l'entusiamo delle alunne della scuola femminile di Gerusalemme Est “Dar el Tefl el Arabi”, che si sono poi cimentate in un colorato saggio che ha aperto il fastoso cerimoniale della giornata calcistica. Ma veniamo alla cronaca delle partite.

Gli scombinati componenti della nostra squadra, che giocava contro la nazionale under 18, si sono fatti scudo con discorsi del tipo: “Siamo arrivati questa notte”, o “Abbiamo dormito poche ore” oppure, ancora peggio per degli sportivi, “... nella vita ci droghiamo”. Ragazzi la realtà è ben altra: “Siete delle pippe!”. Avete perso 10 a 0 e sbagliato il rigore che l'arbitro aveva regalato, in quanto ospiti, all'ultimo minuto. Di voi, lo sapevamo, che non eravate affidabili; ma della squadra femminile no. Le ragazze, negli anni passati, ci avevano regalato solo vittorie e al pubblico Palestinese emozionanti momenti di “fùtbol bailado”. Sono crollate misteriosamente, perdendo 9 a 0.


Da Dheisheh è tutto i vostri corrispondenti con i piedi
Lory, Duka e Barbara

preferirei di no

riceviamo e pubblichiamo.
in un periodo piuttosto nero, un'altra inquietante azione repressiva a Bologna...


questa mattina all'alba BARTLEBY, il nuovo spazio occupato dell'Università, è stato SGOMBERATO dalla polizia.
gli occupanti non hanno opposto resistenza, ma hanno creato un corteo diretto al rettore, per chiedere una risposta a quest'atto di forza.
si sono trovati l'ingresso sbarrato dalla POLIZIA, che sta cercando di bloccarli con la forza.
diversi ragazzi sono stati manganellati; una RAGAZZA, COLPITA violentemente alla testa, è stata portata in ospedale.
questa è la risposta: alla cultura dialogante che abbiamo prodotto è stata opposta la violenza muta del manganello.

INVITIAMO TUTTI A RAGGIUNGERCI E SOSTENERCI ALL'INGRESSO DEL RETTORATO,
VIA ZAMBONI 33,

NOI NON CE NE ANDIAMO, NON ABBIAMO FRETTA,
NON CE NE ANDREMO FINCHE' NON AVREMO UNA RISPOSTA SODDISFACENTE.

NOI CI SIAMO, TU?

mercoledì 1 aprile 2009

G20 a Londra - PreReportage

Postiamo un reportage di un nostro conoscente che è stato poco fa a Londra e ha visto i preparativi per le azioni che oggi stanno paralizzando la città, e domani...

di Giakag

La prima cosa che si nota scendendo dal 30 ad Hackney Wick è il silenzio. O più precisamente l'assenza del rumore convulso di Londra, del gas, dei clacson, delle voci. Hackney Wick è silenziosa e immobile, è la periferia estrema della città. Una sopraelevata taglia la visuale percorrendo una lunga curva tra le case basse e poi tra i capannoni. All'orizzonte un enorme cantiere si allunga verso il cielo con le sue gru immobili. Il vento corre tra i grandi spazi vuoti, tra gli edifici squadrati, tra le colonne di lamiere ammassate nei cortili delle carrozzerie turche. Alza la polvere della strada, si infila nei canali dall'acqua torbida e si libera nell'enorme cantiere, sbattendo le tele di nylon sfrangiate dei silos.
[sms to: 0794404**** Ciao, sono al capolinea. Ti aspetto]
Gigi non lo vedo da mesi, a parte ieri notte. Lui occupa case qui ad Hackney dal '94, ha vissuto la Londra di reclaim the street. È il suo ossigeno. Speriamo legga il messaggio. Ieri l'ho incrociato a un café queer polacco, il Morg, che infine si è rivelato un ex pompa funebre - con tanto di cella frigorifera e lettini per le salme! - in cui si stava scatenando un concerto punk, vecchia scuola, creste alla mohicana, ragnatele tatuate sulle guance, sorrisi sdentati, tutti a ciondoloni, ubriachissimi, quasi tutti italiani. Ecco gigi. Mi fa cenno e si avvicina.
-Ciao! Com'è andata il viaggio?
-IL 30 fa un giro infernale! Ho impiegato quasi due ore con i mezzi... Capisco perché non scendi mai a sud del Tamigi...
-Diciamo che sto bene ad Hackney... Qui siamo all'estremo oriente, la zona industriale... É rimasta abbandonata per quasi vent'anni, qui c'era un rave ogni settimana... Cioè... I rave ci sono ancora, ma non è più come prima...
-È bellissimo qui... le strutture industriali vuote! E poi ha il silenzio delle periferie, adorabile... Non è un paradiso?
-Non più... È stata un bolla nel tempo, incredibile, fortissima... Sono situazioni che si presentano solo nei periodi di cambiamento... Con la crisi industriale degli Ottanta Hackney si era svuotata alla velocità della luce... Noi l'avevamo ripresa, l'avevamo fatta vivere a modo nostro... Il quartiere intero era rimasto sospeso, abbandonato a se stesso... Noi siamo stati la risposta... Banksy viene da queste vie, i suoi pezzi più famosi li ha spruzzati su questi muri... Ora hanno iniziato a convertire i capannoni in flat o studi artistici, ma dieci anni fa erano tutti vuoti... Il quartiere esplodeva di energia... Le vedi quelle case popolari? Quelle la con tutti i ballatoi comuni? Li un appartamento su tre era occupato... Qui non passava nessuno, venivi rapinato anche di giorno...
-Tu dove stai ora?
-Mah.. Ora giro un po' qua e un po' la a casa di amici...
La strada è spoglia, l'asfalto è vecchio e rotto, polveroso. Stiamo camminando tra muri di mattoni macchiati alla base da erba grigia. Dal fondo della via ci vengono incontro tre ragazzi. Vestono tute sportive, uno è in jeans. Ci guardano per storto. Noi camminiamo lenti come prima, senza battere ciglio. Loro ci vengono incontro tosti, con sguardi da lupo. Io resto freddo, Gigi li guarda alla “levatevi dal cazzo”. Ci incrociamo, ci superiamo. Gigi si gira.
-Do you have a fire?
Stop. Loro si girano. Uno allunga un fuoco verso Gigi, che si accende lo spino. Ci rigiriamo tutti e ognuno riprende la propria strada. Gigi sorride.
-Speravano gli chiedessi del crack... Qua fanno tutti i cattivi ragazzi... Tra poco arriviamo ai canali navigabili, uno sale fino a Camden... Hanno un sistema di dighe, come una piccola Amsterdam... C'è anche chi ci vive, con le barchette e tutto...
Girando spuntiamo direttamente su un piccolo ponte in cemento. Ci sono graffiti ovunque, l'acqua è sporca, un vena tra gli scheletri decaduti dell'impero industriale. Ci fermiamo a osservare le acque che si spostano lente, strafottenti. Siamo tutti cresciuti tra le fabbriche abbandonate. Il lavoro ha fallito. E i nostri padri e le nostre madri hanno fallito a credere nel lavoro. L'etica del lavoro. Un abbaglio. Un palliativo al gusto di emancipazione. A noi non frega un cazzo di lavorare, non dobbiamo arrivare da nessuna parte, ne spezzarci la schiena per dimostrare chi siamo, ne disciplinare i nostri impulsi, siamo esorcizzati. Quello che ci serve lo creiamo. Lo prendiamo. Lo costruiamo. Lo godiamo. Stop. Ora la crisi economica ridonda su tutti i media, la recessione globale. Ci vorrebbero ad aspettare l'apocalisse dietro i sacchi di sabbia. A disperarci. A noi che qualche apocalisse non spiacerebbe neppure. Gigi è perso nei pensieri al mio fianco. Questo è un altro periodo di cambiamento, e lo sappiamo bene entrambi. E sappiamo che questa volta la bolla potrebbe esplodere. E avrà dei costi.
-Il primo aprile ci sarà la demo contro il G20 ho sentito...
-si... Quattro demo che partono verso le undici da punti diversi della city e convergono sotto la Bank of England per un mass street party... I quattro spezzoni sono guidati dai cavalieri dell'apocalisse... Quello nero dell'homelessness a Cannon street... Quello silver dei money crimes al London Bridge... Quello rosso della guerra a Moorgate... Quello verde del climate chaos a Liverpool street... Nelle vicinanze si installerà un climate change camp... Ma il due aprile sarà interessante...
-Che succede il due?
-Beh... Il due si passa la giornata dall'alba a cercare di bloccare il summit dei venti stronzi... Gancio all'Excel Centre Canning Town... Azioni in gruppi di affinità...

lunedì 30 marzo 2009

scrittura teppista - seconda edizione

visto gli ottimi risultati della prima edizione, riproponiamo il nostro laboratorio Scrittura Teppista.
A partire dal 5 maggio, 10 incontri da due ore ciascuno, i martedì dalle 20 alle 22.

Un laboratorio per narrazioni di frontiera, tra racconto orale e forma romanzo, con lezioni teoriche ma soprattutto esercitazioni pratiche.
Con Marco Philopat, Vincenzo Latronico e Andrea Scarabelli.

per info cliccate QUI, oppure scrivete a press@agenziax.it, oppure ancora telefonateci in redazione, allo 0289401966.

venite a fare i teppisti, vi aspettiamo!

mercoledì 25 marzo 2009

Funky Cox!


Renegades of funk approda al CSOA COX 18

Sabato 28 Marzo

h 18.30 u.net presenta Renegades of Funk

h. 19.30 aperitivo

h. 23.00
Muzik just like back in the dayz

Ospiti invitati:
Night Skinny, Vaitea, Mastino, Painè, Pandaj, DJ Myke & DJ Aladyn.

mercoledì 18 marzo 2009

L'apocalisse a bologna

VENERDI 20 MARZO 009, ore 21,30

@ MODO INFOSHOP

Guida steampunk all'apocalisse di Margaret Killjoy (Agenzia X)
e
Ruggine n° 0
rivista autoprodotta del progetto Collane di Ruggine

Partecipa reginazabo

a seguire proiezione del corto animato

The Mysterious Geographic Explorations of Jasper Morello
di Anthony Lucas

venerdì 13 marzo 2009

I pionieri del bronx

da Alias, 14 febbraio 2009
di Luca Gricinella

I pionieri di u.net


Il Bronx, le gang e le radici della cultura hip hop. Un libro con cd allegato. Dopo Bigger than hip hop (2006) il milanese u.net, ricercatore di storia e cultura afroamericana, torna con Renegades of Funk per raccontare i primi passi della popolare cultura nata nel sobborgo newyorchese. Prima di tutto proprio tramite la voce dei protagonisti cresciuti nel Bronx e dintorni, e la spocchia con cui si raccontano sembra arrivare direttamente dall’adolescenza passata in strada, con o senza gang. In secondo luogo tramite il microfono di chi ha voluto rendere omaggio ai loro ispiratori e padrini: oltre al newyorchese Donald D – che ha vissuto in diretta quel periodo frequentando alcuni dei protagonisti citati –, figurano sul cd vari membri della scena italiana: Dj Pandaj, C.U.B.A. Cabbal & Dj Dsastro, Esa & Shablo, Assalti frontali, Lord Bean & Painè, Mastino & CeeMass, Tormento & Bonnot, Polo, Vaitea & Voolcano, Kiave, Lugi, Ghemon Science & MacroMacro, Pinto & 3D e The Reverse.

I pionieri delle quattro discipline hip hop raccontano aneddoti emblematici o che addirittura hanno segnato la storia di questa cultura che dalle origini a oggi si è diffusa e sviluppata in maniera massiccia continuando a sconfinare, a incidere in altri ambiti. Ecco allora u.net che dà giusto rilievo al rapporto, sempre più intenso, tra Afrika Bambaataa e il concetto di pace; che ci fa vedere – anche grazie ad alcune notevoli foto dellepoca – come l’hip hop abbia influito sulla moda (compreso il versante trendy-vintage odierno); che ribadisce come la prima hit rap, Rapper’s Delight, sia stata una mossa astuta per ottenere un richiamo internazionale senza correre rischi, visto che la Sugarhill Gang era composta da innocui outsider semisconosciuti nel giro; che ci fa scoprire come il blackout newyorchese dell’estate del 1977 sia stato non solo un momento di rivolta e saccheggio – anche di svolta per i dj che riuscirono ad appropriarsi delle migliori apparecchiature –, ma abbia anche mandato in crisi economica alcune famiglie. Questi e decine di altri risvolti compongono un suggestivo spaccato hip hop utilissimo per la comprensione di questa cultura. Abbiamo dialogato via mail con u.net, alias Giuseppe Pipitone.

È una forzatura o si può dire che l’assunto di partenza del libro sia che le situazioni di degrado, disagio e violenza sono anche terreno fertile per la creatività e l’arte?

Più che un assunto direi che quelle appena descritte furono le condizioni in cui nacque l’hip hop, ciò che successe nel Bronx negli anni Settanta. La mancanza di qualsiasi tipo di prospettiva creò le premesse per la nascita del più importante movimento culturale del nostro tempo. Quello che fu il clima in cui lo scambio, la condivisione e la sintesi di tradizioni culturali differenti, che interagivano nel medesimo ambiente, posero le premesse per quell’esplosione creativa che dal Bronx conquisterà prima la città di New York, poi la nazione e, infine, il mondo intero. Quei giovani neri e latini hanno lottato per ottenere visibilità e riconoscimento in una società che li aveva spinti ai margini della vita politica e sociale, in una giungla postmoderna in cui svilupparono nuove forme d’espressione culturale e di intrattenimento attraverso l’uso di strumenti poveri, l’adattamento ambientale e la sintesi creativa delle contraddizioni, in pratica facendo tesoro proprio da “assenza e desiderio”.

Un passaggio che assurge a classico nelle vite di molti artisti che citi è il momento della redenzione, il ripudio della vita violenta…

Possiamo tranquillamente affermare che l’80% dei pionieri della cultura hip hop fossero membri di una gang, La violenza era la quotidianità nel Bronx di quegli anni e le gang rappresentavano una sorta di struttura organizzata, un elemento di sopravvivenza per i giovano che abitavano quell’area. Dopo la tregua del 1971 tra le gang, che pose le premesse per la nascita e l’evoluzione della cultura hip hop, la violenza non terminò all’improvviso, come avrebbe mai potuto accadere? L’esempio classico del passaggio tra la vita violenta e la redenzione (se così la vogliamo definire) è esemplificata dalla figura di Bambaataa, passato dall’esser capo guerra dei Black Spades a maestro dei dischi per i giovani che affollavano le sue serate. Bam partecipò direttamente a molte “guerre” e scontri e lentamente comprese la necessità di un cambiamento. La morte dell’amico Soulski ad opera della polizia nel 1975, loo convinse dell’urgenza di una svolta e così si adoperò per trasformare gli Spades in un’organizzazione che avesse un impatto positivo sul territorio, la Zulu Nation. L’esempio offerto dalla personalità magnetica di Bam fu cruciale per moltissimi giovani che iniziarono a sfidarsi a passi di danza o in rima invece di scontrarsi fisicamente. Molte gang si trasformarono in crew e operarono come security ai party, i Casanovas con Flash così come gli Zulu con Bam.

Nel libro insisti nel sottolineare il ruolo giocato dalla comunità ispanica nella storia dell’hip hop. Perché in questo ambito rispetto agli afroamericani gli ispanici sono passati in secondo piano (esperti in materia a parte)?

Negli anni Ottanta l’elemento che ottenne maggiore visibilità mediatica fu il rap (o MCing), l’ultimo elemento a nascere e svilupparsi all’interno della scena hip hop del tempo. I protagonisti dei primi dischi sono per lo più afroamericani e l’MCing richiama con forza la tradizione orale afroamericana: ecco probabilmente una delle ragioni principali per il tipo di atteggiamento di cui parli. Prendendo a riferimento invece i diversi elementi inclusi sotto il nome di hip hop, con particolare riferimento al Bboyng, ci accorgeremo di come le componenti latina e caraibica abbiano giocato un ruolo fondamentale nell'evoluzione del genere. La danza conosciuta dai più come breakdance altro non è che il risultato della sintesi dei diversi apporti di etnie differenti e delle loro tradizioni culturali. Per comprendere meglio ciò di cui sto parlando consiglio a tutti la visione di Mambo to Hip Hop (2008) di Henry Chalfant, regista, fotografo e autore dell'introduzione di Renegades of Funk.

Che livello ha raggiunto la cultura hip hop in Italia? Spostandoci anche fuori dal giro degli appassionati, nella società italiana inizia ad esserci una coscienza nei confronti dell’hip hop?

Una domanda complessa a cui non saprei come rispondere. La cultura hip hop non è così diffusa e pervasiva in Italia come invece accade in altri paesi; di conseguenza l’importanza di questo movimento culturale non è ancora percepita a pieno. Il fenomeno su sta diffondendo lentamente e ciò è riscontrabile nel numero di sigle, pubblicità e film che utilizzano l’hip hop come colonna sonora. Le trasmissioni musicali, però, anche quelle specificatamente hip hop non operano per diffondere conoscenza ma solo prodotti e video musicali e non.

La maggior parte degli adolescenti conosce l’hip hop per quello che vede su Mtv o legge su riviste musicali patinate e di dubbia validità culturale. Nel tentativo di ovviare a tutto ciò, di diffondere conoscenza, di avvicinare i giovani alla lettura e, soprattutto, con l’idea di andare oltre alla pagina scritta, ho chiesto ad alcuni MC e producer italiani di collaborare con me nel tentativo di trasformare la prosa in rima e di affiancare alla storia orale una storia musicale da quest’ultima direttamente influenzata. L’esperimento sembra perfettamente riuscito, soprattutto, grazie all’aiuto, alla dedizione e all’entusiamo dimostrato dagli artisti coinvolti. L’obiettivo è proprio quello di creare una base di coscienza critica che possa portare a nuove realizzazioni e progetti che non tocchino solo e unicamente la produzione musicale.

Un po’ di musica per integrare al meglio la lettura di Renegades of Funk?

Jimmy Castor, It’s Just Begun (Rca, 1972), Incredible Bongo Band, Bongo Rock (Pride, 1973), Chic, Good Times (Atlantic, 1979), Sugarhill Gang, Rapper’s Delight (Sugar Hill, 1979), Afrika Bambaataa & Soul Sonic Force, Planet Rock (Tommy Boy, 1982).

Spot on u.net!

da il Mucchio selvaggio, marzo 2009

di Damir Ivic

Ci sono musicisti che partono prevenuti verso i giornalisti, e che forse le interviste non le dovrebbero proprio fare almeno non quelle al telefono. Grandmaster Flash è uno di questi. Ecco come sono andate le cose: quando finalmente riusciamo a parlargli (dopo un suo clamoroso bidone due giorni prima), dopo due minuti al telefono cominciamo una delle domande. Una cosa tipo: “Allora Flash, se ripensiamo agli anni 80…”. Al che lui interrompe e fa: “Avete rotto il cazzo voi giornalisti. Non sapete nulla. Siete ignoranti. Tutti a parlare degli anni 80, Flash di qua, Flash di là, sempre e solo stramaledettissimi anni 80, quando invece l’hip hop è nato nel 1969, hai capito? Sei un ignorante, ecco cosa sei, tu e tutti i tuoi colleghi!”. Caro Grandmaster Flash: sei un grande, sei uno dei padri dell’hip hop, ma ahinoi sei anche un cafone. Se tu non lo fossi stato, e se c’avesse fatto finire la frase, la domanda sarebbe stata: “Se ripensiamo agli anni 80, si va a parare su quando l’hip hop è diventato un fenomeno riconosciuto dalla discografia e dai media ufficiali; ma in realtà le cose nascono almeno un decennio prima, tu non solo c’eri ma sei stato uno dei protagonisti cruciali, è di questo che vorrei farti parlare”. Già. Flash avrebbe sentito questa domanda. Non è andata così. Peggio per lui. Anche perché tutto quello che ci ha detto, in venti minuti, è stato un misto di arroganza e svogliate banalità. Ma, attenzione, cosa ci importa di Grandmaster Flash se abbiamo Renegades of funk di u.net? In realtà ci sarebbe piaciuto eccome parlare con uno dei padrini dell’hip hop e raccogliere aneddoti cruciali, ma il libro appena citato – perché di libro si tratta, pur con cd allegato – è una fonte di enorme valore di aneddoti diretti su quelli che sono i veri inizi dell’hip hop, quelli lontano dai riflettori di radio, tv ed etichette. Dietro lo pseudonimo u.net si nasconde Giuseppe Pipitone, da sempre studioso e fervido appassionato di quel filone della cultura e della storia nera che collega le Pantere Nere con Mos Def passando per le gesta dell’hip hop più autentico, quello originario. Già autore di Bigger than hip hop, con Renegades of funk approfondisce il suo viaggio alla ricerca delle origini del rap quanto dei graffiti, del deejaing e della breakdance, secondo il sacro principio (che si rischia di dimenticare) per cui l’hip hop è l’insieme di quattro discipline. Si va direttamente alla fonte. Non è infatti un libro da musicologo che disseziona con piglio da accademico e/o storico della musica quello che è l’hip hop (l’approccio più comune, vedi alla voce David Toop), è un libro in media res, dove si parla direttamente con alcuni protagonisti – quelli sfuggiti alla ribalta mediatica, quindi per certi versi ancora più interessanti, nel 2009 – affrontandoli con gran rispetto.

Insomma venti euro da sganciare in libreria assolutamente necessari se si vuole respirare l’aria che per davvero ha generato una cultura musicale e non dominato nei decenni successivi, evitando di restare intossicati da generalizzazioni da osservatore freddamente esterno o dai lustrini del mainstream. u.net forse non ha la scorrevolezza dei grandi giornalisti musicali (Reynolds in primis), ma questo a ben vedere più che un difetto diventa quasi un pregio: con la sua scrittura diretta ed essenziale Renegades of funk guadagna in autenticità, è lo scrittore/studioso ad essere al servizio della Storia (con la “s” maiuscola) e non viceversa. E se qualcuno pensa che venti euro per un libro di 240 pagine siano tanti, tenga conto che c’è di mezzo anche un cd: dodici tracce dove per lo più sono nomi forti della scena nostrana contemporanea (Assalti frontali, Esa, Tormento, Macro Macro, e molti altri, diremmo davvero tutti bravi) a creare dei tributi in rap e in beat alla vecchia scuola, quella raccontata dal libro. Tracce davvero ottime, ben rifinite e godibili, non riempitivi monchi messi lì tanto per far numero. C’è cura, dunque, e amore dietro a questo prodotto editoriale. È c’è la testimonianza di una fase storica spesso e volentieri trascurata, sacrificata all’altare del Lill’ Wayne di turno. Ma anche per capire Madib e Flying Lotus e le destrutturazioni futuriste ipercontemporanee intellettuali odierne che tanto ci piacciono è doveroso sapere quali sono le radici, le nude, semplici, sincere radici.

Una delle parti più interessanti del libro è il momento in cui si traccia la storia del primo pezzo hip hop nella storia della discografia, ovvero Rapper’s Delight della Sugarhill Gang. Una storia non propriamente cristallina, dove ad avere la meglio sono i furbi e i biters, ovvero coloro che usano idee altrui: un peccato quasi mortale in un movimento artistico nato unico e originale e che metteva queste stesse qualità in cima alla scala dei valori, all’epoca. Bei tempi.

martedì 3 marzo 2009

Renegades of Funk su Blow Up!

(Blow Up – Marzo 2009-03-03 - Mauro Zanda)

Nel mondo delle scorciatoie e delle soluzioni a portata di mano, uno come u.net non riesci proprio a incasellarlo da nessuna parte: non giornalista, non scrittore, non dj/producer prestato alla causa della divulgazione. U.net è uno strano e raro caso di ricercatore sul campo, uno con una passione così smodata per la storia dei movimenti artistici e politici afro-americani, da aver di fatto dedicato gli ultimi dieci anni della sua vita alla comprensione (rigorosamente diretta) di quell’incredibile fenomenologia. Come logica conseguenza anche i suoi libri (andatevi a ricercare pure l’ottimo Bigger Than Hip Hop, Agenziax, 2006) elidono le categorie più convenzionali della saggistica di genere, preferendo invece rincorrere un contesto adatto all’esperienza sinestetica: racconti affidati prevalentemente ai protagonisti della prima ora, istantanee vivide, senza mediazione o interpretazione o interpretazione di sorta, capaci anche solo per un attimo di farci toccare con mano quella speciale vibrazione, la stessa che permise ad un pugno di giovani leoni metropolitani di scrivere la più importante rivoluzione sotto-culturale degli ultimi 35 anni. Frammenti, flash, impressioni e ricordi fieri che abbracciano in egual misura i 4 elementi della cultura hip hop fino a subliminarsi compiutamente nel quinto, quello auspicato dal profeta Bambaataa: la conoscenza. Straordinaria in tal senso l’idea del disco-guida, “storia musicale che facilitasse la comprensione di questa cultura a tutti gli appassionati… pezzi originali che hanno una relazione strettissima con i saggi presenti nel libro”. Non dunque una raccolta dei brani dei pionieri, ma un vero e proprio lavoro su commissione (ognuno ha preso in cura un capitolo) che ha coinvolto la crema della scena italiana: fra i tanti, segnaliamo uno straordinario omaggio ad Afrika Bambaataa degli Assalti Frontali, un pezzone firmato da Cuba & Disastro che racconta la mitica riunione delle gang del dicembre del ’71 (ovviamente con sample de “I Guerrieri della Notte), Tormento e Bonnot su Grandmaster Flash, e poi (un gradino sotto ma sempre di grande impatto) Esa & Shablo su Kool Herc e Mastino & CeeMass (Motus Operandi). L’operazione, complessa e ambiziosa, fila che è una bellezza, con tanto d’introduzione a 24 carati di Henry Chalfant e un’infinità di aneddoti sfiziosi svelati dall’interno. Unica nota parzialmente stonata, la prolissità delle round table sui temi specifici, che dopo qualche pagina perdono un po’ di presa sul lettore. Ma in definitiva l’autore sembra aver colto la sfida originaria: “creare uno stile originale con il quale nessuno sia in grado di competere, nello spirito autentico delle hip hop battle”. Sucker giornalisti, siete avvisati.

lunedì 2 marzo 2009

venerdì 27 febbraio 2009

everybody loves Cox 18!




Diciamocelo... tutti amano Cox 18! I milanesi e i numerosissimi sostenitori in Italia e anche all'estero sono pronti a ribadirlo nel grande corteo nazionale che partirà domani 28 febbraio alle ore 15 in piazza XXIV maggio.

Tra i tantissimi che sottoscrivono l'appello per Cox 18, oltre ai bravissimi Il Teatro degli Orrori, che si sono esibiti ieri sera in Conchetta, persino Pete Doherty è pronto a scendere in piazza per difenderlo...
come del resto potete vedere nelle foto, eccolo mentre si prepara per il corteo.

Viene persino lui, volete mancare voi?

NON SI SPENGONO LE LUCI DELLA CITTA'!!!

mercoledì 25 febbraio 2009

non si spengono le luci della città!


diffondiamo la convocazione per il corteo nazionale di sabato prossimo in difesa degli spazi sociali...

Le mani moleste della Proprietà e del Controllo sono in grande attività:

Trasformano la salute in un affare per imprenditori
Ci raccontano che la migliore cura è l'espulsione
Cancellano l'edilizia popolare e trasformano in merce i bisogni
Negano i diritti, la solidarietà

Per salvaguardare i loro loschi affari ingabbiano la cultura, cacciano le persone, cancellano la storia

In città ridotte a macchine per fare soldi, vogliamo liberare spazi, luoghi in cui stare e tempi da attraversare

Con la forza dei nostri desideri e con le armi della solidarietà vogliamo sconfiggere l'ossessione di controllo di chi nega il diritto all'esistenza e l'avidità di chi trasforma la conoscenza in un lusso

Per la salvaguardia e l'ampliamento dei diritti, contro la meschinità del razzismo di governo e contro la cementificazione delle città e delle menti

28 febbraio manifestazione nazionale contro le logiche securitarie, per l'autogestione e gli spazi sociali

Milano ore 15

piazza XXIV maggio

le compagne e i compagni di Milano

mercoledì 18 febbraio 2009

Conflitti Globali a Pavia

Mercoledì 18 febbraio, a partire dalle ore 21.30

presso il CSA BARATTOLO

(Via dei Mille 130a - 27100 - Pavia)

Presentazione del n° 6 della rivista CONFLITTI GLOBALI, Israele come paradigma

Interverranno:

- MASSIMILIANO GUARESCHI, docente di Politiche globali presso l'Università di Genova

- MARCO ALLEGRA, ricercatore presso il Dipartimento di Studi Politici di Torino

sabato 14 febbraio 2009

COX 18 LIBERATO!!!



Diffondiamo il comunicato della rioccupazione di ieri scritto dal collettivo Cox 18.Stasera tutti in conchetta, presidio e festa permanenti!


Altroché san Valentino - il nostro cuore batte per Cox 18


VOI 22 GIORNI... NOI 33 ANNI!

Alle ore 20.00 di oggi, venerdì 13 gennaio, dopo le contraddittorie ragioni che il Comune di Milano ha espresso stamattina in un’aula del Palazzo di Giustizia, 200 compagni sono rientrati nel centro sociale COX 18 riprendendosi ciò che gli era dovuto.

Attualmente solo la libreria Calusca e l’archivio Primo Moroni rimangono sigillati, decisione presa per salvaguardare il grande valore culturale lì dentro racchiuso, nei suoi volumi e nei rarissimi materiali che sono la nostra memoria storica e quella dei movimenti, del quartiere Ticinese e di tutta la città.

L’odierna udienza davanti al giudice civile sul ricorso contro lo sgombero illegale del 22 Gennaio non ha portato ad alcuna conclusione. Il giudice si è riservato di decidere nei prossimi giorni.

Il Comune ha dichiarato tramite i suoi avvocati che non ha nulla a che fare con la decisione dello sgombero, scaricando ogni responsabilità su Prefettura e Questura. Una posizione comprensibile, perché una responsabilità accertata da parte del Comune comprometterebbe seriamente la sua posizione processuale.

Ma basterebbe ricordare l’intervista rilasciata dal Prefetto Lombardi al quotidiano "il Giornale" il 28 gennaio scorso, in cui affermava senza mezzi termini che “il Comune ha chiesto alla Questura di intervenire”, aggiungendo che “la Questura, quando riceve una richiesta del genere, soprattutto da un ente pubblico, deve garantire una tutela immediata.” Tali dichiarazioni non sono state mai smentite.

Ma c’è un altro fatto che dovrebbe far sorgere dei seri dubbi rispetto alla fantasiosa ricostruzione rilasciata dal Comune. Infatti, il pomeriggio del 21 Gennaio, il vicesindaco De Corato, nonché deputato a Roma, aveva rivolto al Ministero degli Interni un’interrogazione, in cui chiedeva di accelerare gli sgomberi dei centri sociali. Alcune ore più tardi la polizia sgomberava senza uno straccio di carta che lo autorizzasse il centro sociale Cox 18.

Qualcuno si deve assumere la responsabilità di dirci perché il 22 gennaio abbiamo dovuto subire uno sgombero completamente illegale, considerando il fatto che la vertenza sull’usucapione è ancora in corso.

Intanto ci siamo ripresi ciò che ci aspettava, la lotta d’ora in avanti la condurremo all’interno di Cox 18, dove batte più forte il nostro cuore...

Altroché San Valentino.

LA TERRA TREMA IL CIEL SI OSCURA – CONCHETTA 18 NON HA PAURA!!

http://cox18.noblogs.org

giovedì 12 febbraio 2009

From London: rampART for Cox 18

Riceviamo e pubblichiamo, dal centro sociale rampART di londra, in solidarietà con Cox 18.
E ricordate: domani mattina (venerdì 13) h 9.30 presidio davanti al tribunale in occasione dell'udienza relativa allo sgombero.

Con questa lettera, vogliamo comunicarvi la nostra solidarietà con il centro sociale Conchetta, e dichiarare la nostra preoccupazione di fronte allo sgombero dello spazio, dopo 30 anni di occupazione e il saccheggio della libreria Calusca City Lights e dell'Archivio Primo Moroni.

In base a quello che abbiamo potuto capire attraverso siti di informazione alternativa e mailing list, lo sgombero della Conchetta e' parte di una strategia piu' ampia per "ripulire la città", in vista dell'Expo2015.
Qui a Londra affrontiamo una situazione simile, con le preparazioni in vista delle Olimpiadi del 2012, per non parlare dei piani di gentrificazione che da anni colpiscono la città, a causa dell'espansione del distretto finanziario e dell'avidità del mercato immobiliare. Questo processo ha accelerato lo
sgombero di centri sociali, la distruzione di mercati di strada, e la
privatizzazione delle case popolari, così come il controllo e la repressione nello spazio urbano.

Questa situazione, che accomuna Londra e Milano cosi come molte altre metropoli europee rende spazi come il Centro Sociale Conchetta tanto più necessari, proprio perché essi promuovono un'insieme di valori differenti da quelli dominanti. Per questo motivo il collettivo del Centro Sociale rampART sostiene i vostri sforzi per riprendere il centro sociale.

Il Collettivo del Centro Sociale rampART - Londra

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We are writing to show our solidarity with the Conchetta Social
Centre, and to express our dismay at the eviction of the space after
over 30 years of occupation, and the seizure of the Calusca City Lights
Library and the Primo Moroni Archive.

Based on what we have seen on the news and over email lists, we
understand the eviction of the Conchetta is part of a wider move to
'clean up the city', in preparation for Expo2015. We are
experiencing a similar situation in London with the preparations for
the 2012 Olympics, not to mention the ongoing gentrification we have
experienced for a long time, caused by the expansion of the financial
district and the greed of the real estate market. This has accelerated
the eviction of social centres, the destruction of street markets, the
privatisation of public housing and the surveillance and regulation of
urban space.

This situation which is shared by London, Milan, as many other metropolises
in Europe and beyond, makes the need for spaces like the Conchetta
Social Centre all the more urgent, because they represent and promote
a completely
different set of values. We support your attempts to take back the
Centre.

The rampART Social Centre Collective - London

lunedì 9 febbraio 2009

Renegades of Funk


Agenzia X presenta
da oggi in libreria in tutta italia

in libro+cd di u.net
RENEGADES OF FUNK
Il bronx e le radici dell'hip hop

Vivevo nel South B ronx, un luogo selvaggio dove c'erano gang a ogni angolo. Per sopravvivere diventai T.Kid e mi dedicai al writing a tempo pieno... non ci facevano entrare nei club per via del nostro look e dell'età. Così iniziammo a organizzare party nelle strade.
T.Kid170

La mitica storia dei pionieri dell’hip hop ebbe inizio nella prima metà degli anni settanta in un quartiere di New York: il Bronx. In quel periodo venne stipulata una tregua tra le bande extralegali per porre fine alla violenza che infestava le strade della zona. I confini fra i territori delle varie gang iniziarono a farsi più confusi, ciò permise una relativa mobilità e un forte scambio relazionale fra i giovani. Lo sfoggio di uno stile personale con il quale nessuno poteva competere – nella danza, nel canto, nella produzione di musica, nella realizzazione dei graffiti – fu la strepitosa risposta dal basso che pose le premesse per la nascita e la diffusione nel mondo della cultura hip hop.
Con una lente di ingrandimento puntata sul Bronx, Renegades of Funk ripercorre le fasi cruciali dello sviluppo di questa esplosione di creatività. Il testo è un vivace affresco di riflessioni, indagini storiche, interviste e contributi dei protagonisti, suddivisi secondo le quattro fondamentali espressioni artistiche dell’hip hop: i writer, che bombardavano con i loro graffiti la linea metropolitana e le facciate di palazzi reclamando spazi e visibilità; i b-boy, che elaborarono un tipo di danza fatto di acrobazie sui marciapiedi che facevano dimenticare lo squallore urbano; i dj, che organizzavano party improvvisati trasformando piazze e parchi in luoghi di aggregazione spontanei, e i rapper, che con maestria linguistica utilizzavano il microfono raccontando nuovi mondi.
In allegato al nuovo libro di u.net, un cd musicale con brani appositamente realizzati dai più noti musicisti hip hop italiani che narrano i diversi capitoli di Renegades of Funk.


TRACKLIST DEL CD:


00 Hip Hop Is The Culture – Donald D & DJ Pandai
01 Boogie Down Bronx – Cuba Cabbal & Dsastro
02 Kool Herc – Esa El Prez & Shablo
03 Afrika Bambaataa Tribute – Assalti Frontali
04 Vi ho nel cuore – Lord Bean & Painè
05 Motus Operandi – Mastino & NightSkinny
06 Grandmaster Flash – Tormento & Bonnot
07 We R known as the Pioneers – Donald D
08 Pioneersd Rap – Reggie Reg, Tski Valley, KK Rockwell, RD, The Flyest Boo-ski, LA Sunshine, Mighty Mike C & DJ Funk Prez
09 Vesuvius' Delight – Polo & Vaitea
10 Peace Unity & Having Fun – Kiave, Luigi, Ghemon Science & Macro-Macro
11 Guerriero – Pinto 3D feat. DJ Mike
12 Renegades of Funk Remix – The Reverse

giovedì 5 febbraio 2009

Reflection on black america


Vi segnaliamo un interessantissimo appuntamento organizzato in difesa di Cox 18, un incontro che tra l'altro spiana la strada all'ingresso in libreria di Renegades of funk, di cui vi parleremo meglio a giorni...

Domenica 8 febbraio

@ Arci Bellezza
via Bellezza 16 - h 21.00

RIFLESSIONI SULL'AMERICA NERA

con

Amir Baraka
poet, playwriter, activist

Boots Riley
(from THE COUP) Mc, active political/social organizer

Contro lo sgombero di Cox 18

Calusca e Archivio Primo Moroni

mercoledì 4 febbraio 2009

Free Palestina - Free Gaza

Venerdì 6 febbraio dalle h 20 in poi

FREE PALESTINA - FREE GAZA

cene-incontri-proiezioni-electro djset

@ Strike SPA - Roma

ore 21: Israele come paradigma (Aa.Vv.)

Conflitti globali n.6 / edizioni Agenzia X

Partecipano Max Guareschi e Federico Rahola

*Le pratiche e le tecniche di governo messe in atto dallo stato di Israele,

come caleidoscopio significativo delle politiche di sicurezza del presente*

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In funzione pub +B e trattoria Strakitchen (cena a menù fisso)

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Strike spa - Spazio pubblico Autogestito
Via Partini 21, Portonaccio - Casalbertone
Metro Tiburtina – Bus 409, 545

giovedì 29 gennaio 2009

Alfredo Jaar per COX 18

Alfredo Jaar, l'artista fino a pochi giorni fa in mostra all'Hangar Bicocca e allo Spazio Oberdan con It is difficult e con la serie Questions questions (in cui si chiedeva: "cos'è la cultura?" "la cultura dell'emergenza" "alla ricerca della cultura a Milano".) ha scritto un testo in difesa di Cox 18 in cui invita tutti i milanesi a difendere lo spazio e definisce lo sgombero un "crimine e vero e proprio".
vi preghiamo di diffonderlo con ogni mezzo.


http://www.petitiononline.com/cox18/petition.html

Il divario tra la cultura italiana e la situazione attuale è scioccante e aumenta di giorno in giorno.
Questo vuoto è causato da numerosi problemi strutturali, come l’assegnazione politica di posizioni culturali che vengono rimpiazzate da ogni nuovo governo. In queste circostanze la continuità e la profondità dell'impegno sono impossibili.
Un altro problema che non si riesce ad affrontare è la mancanza di musei d'arte contemporanea e di istituzioni simili, completamente dedicati alle arti visive e alla cultura. Se paragonati per esempio a quelli di Germania, Francia o Spagna, i numeri dell'Italia sono incredibilmente miseri. Questo è davvero drammatico e assurdo.
Ciò ha penalizzato enormemente la visibilità nel mondo degli artisti e degli intellettuali italiani, che sono costretti a emigrare.
Di fronte a un panorama talmente triste e desolato, gli artisti e gli intellettuali italiani sono stati costretti ad affrontare in prima persona questo impellente argomento. È una questione di pura sopravvivenza.
È così che sono nati luoghi come Cox 18. Creati da artisti e da intellettuali per artisti e intellettuali, sono gli spazi culturali più generosi delle città e hanno un ruolo fondamentale di cui non si fa carico nessun'altra istituzione. Sono spazi aperti, liberi, multidisciplinari e democratici. Cox 18 è un centro sociale storico che ospita anche la libreria Calusca e l'Archivio Primo Moroni. Cox 18 e altri spazi, come per esempio la Casa degli Artisti, hanno un'importanza vitale per la sopravvivenza della cultura italiana. Una cultura viva deve essere creatrice e Cox 18 crea cultura, la condivide con tutti i milanesi e gli italiani. La protegge. La accudisce con tenerezza. La cultura è la sua raison d’être.
Cox 18 è uno spazio di speranza.
Oggi si trova sotto l’assedio di un governo autenticamente fascista, che non capisce il termine cultura. Che non riconosce la cultura come elemento fondamentale della vita.
La mia opera artistica non esisterebbe senza Gramsci, Pasolini o Ungaretti. Quando ho creato il mio progetto pubblico Questions, Questions per le strade di Milano, stavo rendendo partecipi i milanesi delle mie paure in merito alla cultura italiana. L’attuale realtà di Cox 18 e di altri spazi simili sono una drammatica conferma di questi timori.
Milano si deve mobilitare per fermare questo crimine. Perché si tratta di un crimine vero e proprio, perpetrato davanti ai nostri occhi increduli. Ci sono già stati fin troppi delitti. Ora basta. La cultura italiana si merita di meglio.

Alfredo Jaar, 29 Gennaio 2009

(traduzione di Andrea Scarabelli)




The gap between Italian culture and its present reality is shocking and growing every day.
This vacuum is caused by many structural problems like the political appointment of cultural positions that are replaced with every new government. Under these conditions continuity and depth are impossible.
Another intractable problem is the lack of contemporary art museums and similar Institutions fully dedicated to the visual arts and culture. Compared to Germany, France or Spain, for example, the numbers for Italy are incredibly poor. It is truly dramatic and absurd.
This has greatly affected the visibility of Italian artists and intellectuals around the world. They are forced to emigrate.
In the face of such sad and desolate panorama, Italian intellectuals and artists have been forced to take this urgent matter in their own hands. It is simply a matter of survival.
This is how institutions like Cox 18 were born. Created by artists and intellectuals for artists and intellectuals, they are the most generous cultural spaces of the city and play a fundamental role that no other institution plays. They are open, free, multi-disciplinary, and democratic. Cox 18 is an historical social center that also hosts the bookstore Calusca and the archives of Primo Moroni. Cox 18 and other institutions like Casa degli Artisti for example, are vital for the survival of Italian culture. A living culture is one that creates, and Cox 18 creates culture, and shares it with all the citizens of Milan and Italy. It preserves it. It cherishes culture. Culture is its reason d’etre.
Cox 18 is a space of hope.
Today it finds itself under assault by a truly fascist government that doesn’t understand the word culture. That doesn’t recognize the concept of culture as a fundamental element of life.
My work as an artist would not exist without Gramsci, Pasolini or Ungaretti. When I created my public project Questions, Questions for the streets of Milan, I was sharing my fears about Italian culture with the citizens of Milan. The present reality of Cox 18 and the others is a dramatic confirmation of those fears.
Milan must mobilize to stop this crime. Because it is truly a crime being perpetrated in front of our incredulous eyes. There have been too many crimes already. Enough is enough. Italian culture deserves better.

Alfredo Jaar, 29 January 2009

mercoledì 28 gennaio 2009

Vincenzo Latronico e Kurt Vonnegut a proposito di Cox 18


Lo scrittore Vincenzo Latronico da qualche tempo tiene una rubrica settimanale all'interno della trasmissione Flatlandia di Radio onda d'urto, durante la quale si mette in contatto con Kurt Vonnegut, nell'aldilà, tramite uno speciale telefono progettato dallo stesso scrittore americano,lo Hooligan. Con lui commenta le notizie della settimana.
Questa rubrica si chiama Mai più soli, e nella puntata andata in onda lunedì 26 gennaio si parla dello sgombero di Cox 18.
Eccovi il testo, ovviamente ringraziamo Vincenzo (e Kurt, ci mancherebbe altro!).



Kurt Vonnegut non è mai stato a Milano, o perlomeno non se lo ricorda. Ma quando ha saputo dei bombardamenti che Milano ha subito nella seconda guerra mondiale, delle ricostruzioni frettolose e invadenti, mi ha detto di essere contento di non averla mai vista. “Per fortuna che non ci sono mai stato”, mi ha detto Kurt. “Non so cosa avrei provato, passeggiando per il centro ricostruito, per le vie di marmo lucido. Sarebbe stato come fare l’amore durante un’autopsia.”
Kurt Vonnegut non è mai stato a Milano, quindi non ha reagito immediatamente, l’altro giorno, quando dal mio capo dello Hooligan gli leggevo la rassegna stampa della settimana, per la prossima puntata di Mai più soli. No, non ha reagito quando gli ho detto dello sgombero, a Milano, del centro sociale Cox 18, ma da quelle parti passava una figura lucidissima e circospetta, che, appena lo ha sentito, gli ha strappato di mano la cornetta e ha chiesto maggiori informazioni. “Merda”, si è limitato a dire.
Quella persona è Primo Moroni, ballerino e libraio, e alcune altre cose. Aveva una libreria nel quartiere ticinese, a Milano, la Calusca City Lights. Una quindicina di anni fa l’aveva trasferita al Cox 18. Era una libreria, era un archivio, era il centro di documentazione sui movimenti operai e studenteschi più importante d’Italia. Lo è ancora, ma ci sono i sigilli, davanti, c’è la polizia.
Primo non ha voluto dire niente di quello che è successo, non prima di aver capito esattamente cosa è successo. Non riusciva a spiegarsi quale interesse potesse avere il comune a chiudere un bene di tutti, come il Cox. Non capiva la loro strategia. Ha chiesto consiglio a un esperto, che ha detto che neppure lui capiva cosa gli passasse per la testa.
“No, proprio non capisco”, ha detto l’esperto. “Cioé, capisco questa Moratti dove vuole andare a parare, approvo anche, volendo. Lo sgombero, le cariche, le antisommossa… sembrava aver imparato proprio bene. Eppure non capisco perché non ha ancora fatto sbudellare gli occupanti e violentato le loro donne. Sai, Primo”, gli ha detto Attila, il re degli Unni, “i nostri tempi si faceva così.”
Comunque. Primo non ci ha messo molto a rendersi conto che se le cose vanno avanti così, i luoghi di resistenza a Milano avranno vita breve. “Certo”, ha detto poi, “a quel punto la resistenza si sposterà altrove, e anche questi altri posti verranno sgomberati: le librerie, le biblioteche, i circoli culturali, le Arci, e così via, come i birilli… Spero che ci sia un bel corteo quando alla fine decideranno di sgomberare anche l’ospedale Niguarda.”

Kurt, però, ligio allo spirito bipartisan che anima la linea politica di Radio Onda d’Urto, mi ha detto di ricordare anche gli aspetti positivi di questa città del nord che sembra un corpo sotto anatomia. Mi ha detto di ricordare dei grandi lavori che si stanno facendo per proiettarci in un futuro pieno di grattacieli e cose luccicanti, un futuro vicino vicino, l’Expo 2015. Proprio mentre me lo diceva, poi, si è fatto avanti un ragazzo arrivato alcune settimane fa, e rimasto sempre in silenzio, se si esclude un breve flirt con Ignazio di Loyola. Nessuno sa come si chiami, e anche da noi i giornali non lo hanno detto, ma faceva il muratore, lavorava alla periferia nord di Milano, vicino casa mia, ed è precipitato da una gru che lavorava e lavora ancora, giorno e notte, alla costruzione di due grattacieli. Mentre precipitava, ci ha raccontato, avrebbe voluto agitare le braccia come una grossa farfalla nordafricana, ma non poteva, perché le braccia se le era rotte schiantandosi contro una putrella nei primi metri della caduta.
“Sbandieravano al vento come mantelli!”, ci ha spiegato. Lui, ci ha detto, voleva rappresentare la voce bipartisan della trasmissione. Milano, ha detto poi, starà anche sgomberando un pezzo della sua anima e delle sue viscere, ma ha grandi progetti per il futuro. I grattacieli trasparenti, i parcheggi, tutto questo gli sembra un ottimo auspicio, e ce lo ha detto.
“Mi sembra un ottimo futuro”, ci ha detto. “Un futuro per cui sono felice di aver lavorato, e di essere morto così. No, sul serio”, ha proseguito, pensandoci un po’. “Non mi dispiace di essere morto volando giù da una gru per costruire grattacieli di appartamenti di lusso. Mi sembra una morte con uno scopo. Sono morto per produrre settemila euro al metro quadro. È qualcosa. È molto meglio, ad esempio, che essere morto per niente in Irak.”

Qui Vincenzo Latronico, dalla periferia nord di Milano, in collegamento con Kurt Vonnegut, dall’aldilà. Milano tua mamma.

martedì 27 gennaio 2009

La famiglia Moroni risponde alla Moratti

Riportiamo il comunicato stampa della famiglia Moroni in merito alle pretese avanzate ieri da Letizia Moratti sull'Archivio Primo Moroni.

Oggi abbiamo appreso dalla stampa che il sindaco Letizia Moratti avrebbe intenzione di occuparsi dei materiali dell'Archivio Primo Moroni e che vorrebbe addirittura spostarli in una non meglio identificata sede del Comune di Milano.

Se questa giunta avesse avuto minimamente a cuore l'Archivio Primo Moroni non avrebbe mandato ingenti forze di polizia e militarizzato un intero quartiere per sgomberare il centro sociale Cox 18, cercando di bloccarne la più che trentennale attività e impedendo la libera fruizione sociale dei materiali dell'Archivio e della Calusca City Lights.

Se a muoverla fosse stato qualcosa di diverso da una volontà di mostrare i muscoli la cui protervia è pari solo all'ignoranza e all'avidità già dimostrate in troppe altre occasioni, avrebbe invece rispettato la loro collocazione nel luogo in cui Primo aveva deciso dovessero stare.

Ribadiamo quindi che per noi familiari la sede naturale dell'Archivio Primo Moroni è il centro sociale di via Conchetta 18 e che se questa amministrazione s'illude di fare diversamente incontrerà la nostra più ferma opposizione.

Cox 18, l'Archivio Primo Moroni e Calusca City Lights sono affasciati e difesi da quella solidarietà attiva che si è espressa durante tutti questi giorni. Non si toccano.

Sabina, Maysa, Anna e Chiara, familiari di Primo Moroni

lunedì 26 gennaio 2009

Manifestazione di sabato 24 per COX 18: una cronaca.


Proseguono le iniziative per COX 18: oggi a piazzale marino fino a notte in piazzale Marino:

- Riapre la libreria Calusca: banchetto di libri, riviste, autoproduzioni

- Teatro e musica con:

Walter Leonardi, Chinaski, Flavio Pirini, Folco Orselli, Cesare Basile, Angelo Pisani, Lucia Vasini, Paolo Rossi.

Per far sentire alla Moratti di cosa ne pensiamo della sua nuova uscita con cui afferma di volersi appropriare dell'Archivio Moroni... leggete il blog di Conchetta per credere!

Riportiamo ora una cronaca diretta, personale ma obiettiva della straordinaria manifestazione di sabato, che i giornali hanno vergognosamente fatto passare sotto silenzio, focalizzandosi su violenze e danneggiamenti inesistenti.
Il brano che riportiamo è di un nostro amico, Andrea Gessner, che ringraziamo, e che esprime perfettamente il sentimento della città di Milano di fronte a uno sgombero talmente insensato (oltre che - ribadiamolo - illegittimo).

COX 18 - UNA CRONACA DI SABATO 24 GENNAIO

Visto che i giornalisti che lavorano per i giornali (manifesto escluso) non sanno farlo, qualcuno deve raccontare quello che è successo ieri.
parto la mattina da roma: lì piove, a firenze ancor più, da modena a oltre fiorenzuola cadono fiocchi che sembrano già palle di neve. A milano è grigio, fa freddo: è una giornata ferma, seria. Sembra proprio di stare a milano. Sembra che oggi non sia giorno per ironie.
Voloacasapermollareleborse, mi cambio prendo un cappuccino caldo perché so che farà un cazzo di freddo. In metrò la gente che deve scendere a porta genova ha l’espressione tesa, tirata. Non si parla molto.
Dalla via vigevano si sentono i primi cori, i primi canti.
In piazza 24 maggio ecco andrea con caterina, ecco marco, c’è anche alessandro, sta con antonio, con loro c’è gabriele. Arriva simone con ginevra, poi l’altro simone, con c., che se ne va subito. Di lontano vedo andrea, ancora uno.
Siamo qui con mille altri duemila tremila chi lo sa, perché il comune ha dato ordine illegalmente di sgomberare illegalmente il conchetta, il cox 18, un posto dove tutti siamo stati, per bere una birra, per ballare, per parlare, per sentire qualcosa, per trovare un libro. Quello che vuoi.
Illegalmente perché c’è una causa in corso tra l’associazione che lo gestisce e il comune con udienza fissata a giugno 2009.
Illegalmente perché è lì da più di 30 anni e c’è ancora una cosa che si chiama uso capione.
Illegalmente.
(Lo spaventoso decorato ha dichiarato che lui li vuole chiudere tutti i centri sociali, perché sono realtà borderline. Borderline. Chissà perché mi viene in mente l’arte degenerata).
Il concentramento di gente pare un po’ teso, non tira una bella aria. La gente è incazzata nera. Il corteo sta per partire, ritarda perché la polizia o i carabinieri hanno fermato due che volevano venire, poi rilasciati dopo circa tre ore. Mi dicono che davanti non ci saranno problemi, non vogliono problemi, dietro qualcuno può voler fare un po’ casino. Piano piano si parte, percorriamo corso di porta ticinese, poi svoltiamo a destra sui navigli, e lì rivedo andrea e caterina e lorenza che stanno in cordone; mi cordono con loro. Stefano sta facendo le foto per qualche agenzia. Svoltiamo a sinistra in corso italia. dal pulmino che apre il corteo, anticipato solo dalle ragazze del cox 18, qualcuno parla, a turno. Dal corteo partono slogan contro “decoratopezzodimmerda” contro la moratti “letiziamoratti non hai capito niente, conchetta 18 non si vende”. Conchetta 18 non ha paura. Il microfono ricorda come stanno le cose, alcuni di quelli che parlano sono pacati, altri incazzati come dei puma, alcuni ricordano alfredo jaar e la sua domanda rivolta alla città in questi tempi: cos’è la cultura? Altri ricordano ferlinghetti, il beat, hovistolementimiglioridelmiotempo, On the road. Al duomo il microfono ricorda primo moroni con l’immagine del catcher in the rye, un salvatore - il giovane holden e tutto il resto – e cresce questo strano slogan “questi libri sono la nostra storia” , cresce come un’onda, prima piano poi sempre più forte - la voce che lo scandisce diventa ferma precisa drammatica urla – una frase che non fa rima non rimanda a chissà quale immagine, però davanti al duomo si sentono migliaia di persone che urlano a tutto fiato “questi libri sono la nostra storia” - una cosa incredibile. Malgrado siano tutti furibondi si mantiene la calma, non si cerca lo scontro fisico, la rabbia la si urla. Ci guardiamo intorno dietro davanti: cazzo siamo tantissimi. Pensi che se sei così tanti puoi fare delle belle cose. “chiediamo ascolto - ci danno polizia - è questa la loro - democrazia”. Possiamo farci ascoltare.
C’è anche otta in corteo, racconta del biko. Da qualche parte c’è anche alem. Arriva betta, si cordona a noi, poi ecco fabrizio e giulia. dal duomo abbiamo girato in via torino, stiamo ormai tornando indietro, è ormai buio. Fa freddo, freddissimo. Ci scaldiamo urlando e camminando e parlando e fumando.
Fa freddo cazzo un gran freddo. Si continua su via cesare correnti – che dio lo abbia in gloria e non si sa il perché – poi verso la stazione di porta genova, sempre più stanchi, infreddoliti, cazzo contenti, incazzati come spie. Ma lo vedete quanti siamo? Ma vi rendete conto? Ma lo sapete quel che fate? sono le domande che nascono normali. In via vigevano spunta dado, ma massi non c’è, è a casa; ecco i bengala, ecco i fotografi dei giornali che arrapati come dodicenni skattano: mio dio accendono i bengala. i bengala. mio dio. Domani questa la pubblicano. C’è violenza. C’è kasino. No. Niente di questo. C’è un corteo di gente inkazzata che arriva in piazza 24 maggio, come alla partenza. Ma non c’è più antonio scurati, non c’è più gabriele salvatores. Quelli avevano da fare, scrivere lavorare, cose. Sono andati via al concentramento. Non hanno fatto un metro di corteo. Ma ai giornalisti presenti questo non interessa. Hanno intervistato loro, il nome, il simbolo, chissà cosa si immaginano. No, qui c’è popolo. Ma non interessa a nessuno: niente interviste, nessuna curiosità, a parte il manifesto chesempresialodato. Poi due pirla tirano due raudi sulla polizia, superando con preciso lancio il cordone di protezione alla madama fatto dai fichissimi attivisti del conchetta. Un poliziotto/carabiniere si fa male alla mano. Dispiace. Ma se qualche bella testa non avesse avuto la pensata di chiudere il conchetta, tutto ciò non sarebbe stato. Neanche una mano ferita ci sarebbe stata. Neanche una, cazzo. Questo è quanto. Come un miracolo, un corteo spontaneo di migliaia di persone incazzate si scioglie da solo, senza gravi problemi.
Un ferito lieve, una trentina di taggatori, diecimila persone in corteo. Cosa colpisce di più?
Da quanto non capitava?
Questo giorno è un gran giorno per noi, per milano, per la dignità di un pensiero diverso, per il rispetto dell’essere minoranza.
E che cosa cazzo abbiamo letto nei giornali – il manifesto escluso?

Andrea Gessner

venerdì 23 gennaio 2009

CONTRO LO SGOMBERO DI COX18


Ieri mattina, con un blitz all'alba che ha bloccato militarmente il quartiere, è stato sgomberato il CSOA COX18, che ospita anche la Libreria Calusca e l'importantissimo Archivio Primo Moroni.
Non possiamo fare finta di niente davanti a un atto gravissimo e insensato come questo.
Agenzia X esprime tutta la sua solidarietà con il Cox, appoggia e partecipa a tutte le manifestazioni e le iniziative in sua difesa in questi giorni.

Per firmare la petizione online cliccate QUI

Ecco invece il comunicato ufficiale della riunione all'USI di ieri sera.
Venite domani al corteo e diffondete!

Appello per iniziative in solidarietà con Cox 18 di oggi, venerdì 23 gennaio 2009

Riprendiamoci Cox 18, la Calusca e l’archivio Primo Moroni

Il 22 gennaio 2009 alle 7.00 del mattino un centinaio di poliziotti è entrato nel Centro Sociale Conchetta, fondato più di 33 anni fa, e della libreria Calusca nata nel 1971 e del prezioso e storico archivio Primo Moroni..
la risposta della città è stata tempestiva, in breve si sono radunati davanti ai blindati delle forze dell’ordine molti compagni, amici, abitanti del quartiere.
Si tratta di uno sgombero illegale che non tiene conto di una causa intentata dal comune al centro nel mese di luglio 2008 per la riappropriazione dei locali, una vertenza ancora in corso. Il vicesindaco De Corato, da sempre in prima linea contro le realtà cittadine non omologate, scarica su questore e prefetto la responsabilità dell’operazione. Il Pubblico Ministero sostiene di essere stato avvisato a giochi fatti. Poco importa, tutti, invece, concordano che 1’importanza dell'operazione è che il Comune non perda il valore dell’area. Si tratta di una questione “patrimoniale”, come se questo bastasse a spiegare e a giustificare tutto.
Il risultato, al momento, vede il centro sigillato, con tutti i materiali dentro, compresi i libri e le riviste della libreria e dell’archivio. Il Centro Sociale Conchetta, la Calusca, l’Archivio Primo Moroni rappresentano un pezzo di storia importante, e testimoniano oggi la possibilità di eludere il principio di mercificazione. Con essi, in buona compagnia: diversi altri centri sociali, luoghi di libero accesso e libero scambio, i servizi essenziali, il diritto di esistenza, sempre più minacciato dall’esistenza del diritto, e il diritto alla diversità.
La loro sopravvivenza deve essere la sopravvivenza della libertà di agire, di farci padroni del nostro futuro, di non essere pesati per quanto possiamo / sappiamo / vogliamo spendere.
Per quanto ci riguarda non consideriamo chiusa la partita, riconosciamo chi rifiuta l’omogeneità del pensiero unico del mercato: ci vogliono compatibili, compratori comperabili, ordinati e consenzienti. Resteremo ciò che sappiamo essere, ciò che siamo: originali, comunicanti, disomogenei.
Chiediamo a tutti di farsi carico di un pezzo di questo percorso, che è percorso di tutti.

Stasera ore 18.30, nella piazza di fronte alla stazione di Porta Genova: Volantinaggio per il quartiere

Alle 21.30 concerto sotto l’arco di piazza XXIV maggio

DOMANI MANIFESTAZIONE NAZIONALE PER Cox18.

Concentramento ore 15.00 in piazza XXIV maggio.

I compagni e le compagne di Milano presenti ieri sera all’assemblea cittadini presso la sede USI di viale Bligny.

La giornata di ieri...

giovedì 22 gennaio 2009

COX18 - SGOMBERO

Questa mattina la notizia dello sgombero di Cox18.

il presidio e il congelamento dell'azione del comune.

tra poco alle 15.30 davanti a palazzo marino.

venite.

lunedì 19 gennaio 2009

yes, we hope!


...8 years have been a bloody long time...

Martedì 10 gennaio sarà l'ultimo giorno della presidenza Bush e il primo di quella Obama. Speriamo comporti anche un cambio radicale e una presa di distanza dalla disastrosa politica statunitense di questi ultimi otto anni.
Speriamo.
Ma domani, per una sera, penseremo solo a festeggiare.
All'Arci Biko, un club fondato dal nostro amico Alem in onore di Stephen Biko.
Quindi, martedì 10, finito di cenare, tutti in via de Castillia, a Milano, per il party ElectroObama!

venerdì 16 gennaio 2009

"Smoke around europe"... con il Duka!

Enrico Fletzer ha recensito Roma K.O., sulla rivista internazionale antiproibizionista Soft Secrets. Riportiamo la recensione e vi invitiamo a visitare il sito di questo bimestrale edito in italiano, inglese, francese, spagnolo, olandese, polacco e ceco.
Basta cliccare QUI.

Siamo all'ultimo guizzo di follia creatrice di Marco Philopat e del Duka. I due folletti del movimento italiano operanti rispettivamente tra Milano e Roma e che in Roma K.O «romanzo d'amore droga e odio di classe ripercorrono lungo cinque catastrofiche giornate trenta anni di sconvolgimenti che hanno cambiato la storia e la cultura del movimento antiproibizionista del nostro paese. Sono stati bravi nell’attualizzare il mitico droga e rock'n’roll nel corso delle loro a affabulazioni in un paese meschino dove vige una guerra non dichiarata ai poveri e ai diversi, dove tutto è proibito ma come afferma qualcuno occorre cercare di "conquistarsi il futuro con le unghie e con i denti".
I due kamikaze si dimostrano all'altezza dell’arduo compito di rappresentare l'hard core italiano. Estremamente loquaci sono soprattutto in grado di ricomporre in maniera esilarante una profezia auto-avverante sulla prossima e definitiva distruzione di Roma. Marco Philopat, animatore del mitico Virus di Milano, il primo centro del movimento punk italiano a cui aveva dedicato Lumi di punk e Costretti a sanguinare, nel corso di questi anni, è divenuto sempre più avvezzo nel dipanare alcune interessanti leggende metropolitane come nel suo La Banda Bellini, la storia di un gruppo dell'autonomia milanese degli anni Settanta, d'estrazione proletaria e composto di "randa” dell'hinterland milanese che, armati di chillum e di carabine winchester, erano riusciti a mettere in crisi il centro di Milano ma anche le logiche della maggior parte dei gruppi politici dell'epoca.
Un'atmosfera di follia creatrice che avvolge il lettore anche in Roma K.O. che rappresenta la storia di un'intera generazione e che in certi tratti potrebbe ricordare Paura e delirio a Las Vegas. Il libro nasce da un canovaccio rielaborato da oltre cinquanta ore di registrazioni tra protagonisti dei movimenti sociali a cui si sono prestati centinaia di collaboratori e con i contributi più svariati che andavano dagli aperitivi del Mariani, mitico bar di San Lorenzo ai consigli del poeta e scrittore Nanni Balestrini, protagonista indiscusso della letteratura italiana e del Gruppo 63, a cui molti giovani scrittori sono debitori per la sua incredibile abilità d'intreccio tra biografie personali e flusso poetico. Uno per tutti, Balestrini ha da sempre espresso con procedimenti semantici sempre all'avanguardia i punti alti dell'avanguardia politico-artistica e letteraria del nostro paese fin dai tempi di "vogliamo tutto".
Ma è il Duka il vero ispiratore di Roma K.O. a cui come succede per i tanti personaggi il cui nickname altisonante come Il Conte a Venezia o Pino Angoscia a Bologna, svela qualità nascoste o per lo meno perturbanti. La sua pistola è ancora calda come potrete vedere su un bislacco filmato uscito sulla rete. Duka è considerato a torto o a ragione il dandy della scena alternativa romana. Forse perché ai tempi andava a Londra e ci teneva ad avere un aspetto curato pur militando nei centri sociali in cui il look ma non necessariamente importante.
Ignorato per ora incoscientemente dal l'establishment della sua città, la presenza e la prosa del Duka costituiscono una seria minaccia per l'ordine costituito, una vera e propria miccia accesa sotto una Città che si riteneva eterna o almeno prima del Duka che peraltro non odia i media e ne fa parte. Nella vita si occupa di cultura e di musica e ne scrive su "Liberazione" ed ha anche composto un clamoroso I hate music/Odio la Musica per la casa editrice Meridiano Zero.
Sarà una percezione molto soggettiva, ma Philopat e Duka mi ricordano entrambi Peter Pan o forse anche Pinocchio per i caratteristici nasi allungati e per le situazioni più impensabili vissute all'insegna dell'ironia e dell'humour in frangenti spesso drammatici o d’importanza. I loro guizzi e la loro inventiva sono ben rappresentati nel testo che riesce a far scompisciare non solo i già convertiti dell'underground a pugno chiuso o dell'antiproibizionismo militante ma anche la gente comune e forse perché no, gli stessi abitanti delle borgate protagonisti della grande esplosione-implosione di cui parla il libro. Il romanzo fila liscio con un ritmo incessante in una cornice in cui le sostanze e le rivolte improvvise e l'implosione del quartierone romano e che sfociano inesorabilmente in un finale apocalittico: la definitiva e totale distruzione della Capitale.
La storia è ambientata all'interno di un set surreale, nella zona del Corviale, un gigantesco e squallido palazzone che rappresenta egregiamente la periferia romana tanto decantata da Pasolini fino alle storie tossiche di Guido Blumir. Questo vero e proprio postaccio lungo un chilometro concorre per il premio Frankenstein con analoghi scempi edilizi come lo Zen di Palermo, il Virgolone e il Treno di Bologna o i palazzoni di Quarto Oggiaro a Milano. Al Serpentone in futuro potrebbero aggiungersi le centrali nucleari o gli inceneritori, pudicamente chiamati termo-valorizzatori. Ma la lista dei palazzoni implodenti potrebbe allungarsi fino a coinvolgere la stessa Sede Rai di Saxa Rubra a Roma che oltre che materia di numerose inchieste della magistratura e d'arresti eccellenti, secondo una leggenda metropolitana quasi inestirpabile, non sarebbe altro che la copia conforme del supercarcere peruviano di Lima poi riadattata a studio televisivo tra le proteste e i mugugni di tanti giornalisti Rai.
In questo contesto da "nessun dorma" e soprattutto in attesa della tanto auspicata esplosione/implosione di Roma, Philopat e Duka viaggiano in un completo trip pazzoide fatto di rivolta ed allucinazioni e che sembra indicare la strada per il definitivo esodo psichedelico rivoluzionario. Tra la defezione e la protesta è la prima che sembra prevalere nell'immaginario delle plebi in rivolta accampate nella tendopoli di Cinecittà apprestate dal Sindaco V.
Siamo a Roma nel settembre del 2008 in un Leviatano che hanno chiamato Il Corviale e che improvvisamente comincia a cedere come durante un'apocalisse preistorica in cui subisce gravi danni strutturali. Come annuncia il sito di un noto quotidiano romano "La tragedia è stata evitata per un soffio. Ieri notte alcuni teppisti hanno improvvisato un falò nelle cantine del Corviale, e solo il tempestivo intervento dei Vigili del fuoco ha evitato una strage. Secondo una prima ricostruzione, un gruppo di ragazzini adolescenti... Ribattezzato dai suoi abitanti ‘il Serpentone’, il gigantesco modulo abitativo è stato realizzato nel 1970 da un team d'architetti capitanato da Mario Fiorentino, ispirandosi ad un progetto simile di Le Corbusier a Marsiglia. Doveva essere una struttura autosufficiente e dotata di tutti i servizi necessari, una vera e propria città satellite. Il progetto però non e mai stato ultimato, e il gigantesco palazzone (il ‘diaframma che indica la fine della città e l’inizio della campagna’, secondo l'architetto Bruno Zevi) si è da subito trasformato nel luogo simbolo del degrado urbano”.
In questa situazione alla New Orleans il sindaco V. decide di trasferire i seimila aitanti abitanti in una tendopoli allestita a Cinecittà e a ridosso di un Ipermercato dove la rabbia degli sfollati e l'irrefrenabile desiderio della "roba" fanno scattare un meccanismo fuori dagli argini della razionalità, destinato a cambiare persino gli equilibri meteorologici della città eterna. In questo romanzo d'amore droga e odio di classe edito dall'Agenzia X il Duka si prodiga anche in consigli per i viandanti: "Con le sostanze devi stare attento - ogni tanto rischi di annegarci dentro.
È come fare surf. Quando l'onda ti travolge non bisogna andare in panico - basta chiudere gli occhi e la bocca - ti lasci scorrere addosso la massa d'acqua e ti fai trascinare per un po' senza perdere la calma... Solo così puoi riemergere e affrontare fonda successiva''.
Ma l'apoteosi alla Nerone che scatta nel lettore di fronte al Serpentone che brucia sembra anticipare nuove apocalissi per Roma e per l'Italia dopo le conflagrazioni avvenute in quel castello di carte che nel romanzo appare il Corviale. In un crescendo megalomane non resta che rendere omaggio al Duka proprio come fa Gerardo, uno dei protagonisti: "...Penso anche a Ginevra, magari ha sentito pure lei questa bomba, l’aeroporto di Fiumicino e così vicino. Forse il rumore dell'esplosione l'ha raggiunta proprio nel momento in cui saliva la scaletta dell'aereo diretto in Corea del Nord. Forse il Duka ha calcolato anche il momento giusto per darle l'ultimo saluto... Che colpo! Un vero pugno da K.O. per Roma. BUM! Il Duka ha messo l’intera città al tappeto con un diretto in faccia, un colpo da campione.