lunedì 30 marzo 2009

scrittura teppista - seconda edizione

visto gli ottimi risultati della prima edizione, riproponiamo il nostro laboratorio Scrittura Teppista.
A partire dal 5 maggio, 10 incontri da due ore ciascuno, i martedì dalle 20 alle 22.

Un laboratorio per narrazioni di frontiera, tra racconto orale e forma romanzo, con lezioni teoriche ma soprattutto esercitazioni pratiche.
Con Marco Philopat, Vincenzo Latronico e Andrea Scarabelli.

per info cliccate QUI, oppure scrivete a press@agenziax.it, oppure ancora telefonateci in redazione, allo 0289401966.

venite a fare i teppisti, vi aspettiamo!

mercoledì 25 marzo 2009

Funky Cox!


Renegades of funk approda al CSOA COX 18

Sabato 28 Marzo

h 18.30 u.net presenta Renegades of Funk

h. 19.30 aperitivo

h. 23.00
Muzik just like back in the dayz

Ospiti invitati:
Night Skinny, Vaitea, Mastino, Painè, Pandaj, DJ Myke & DJ Aladyn.

mercoledì 18 marzo 2009

L'apocalisse a bologna

VENERDI 20 MARZO 009, ore 21,30

@ MODO INFOSHOP

Guida steampunk all'apocalisse di Margaret Killjoy (Agenzia X)
e
Ruggine n° 0
rivista autoprodotta del progetto Collane di Ruggine

Partecipa reginazabo

a seguire proiezione del corto animato

The Mysterious Geographic Explorations of Jasper Morello
di Anthony Lucas

venerdì 13 marzo 2009

I pionieri del bronx

da Alias, 14 febbraio 2009
di Luca Gricinella

I pionieri di u.net


Il Bronx, le gang e le radici della cultura hip hop. Un libro con cd allegato. Dopo Bigger than hip hop (2006) il milanese u.net, ricercatore di storia e cultura afroamericana, torna con Renegades of Funk per raccontare i primi passi della popolare cultura nata nel sobborgo newyorchese. Prima di tutto proprio tramite la voce dei protagonisti cresciuti nel Bronx e dintorni, e la spocchia con cui si raccontano sembra arrivare direttamente dall’adolescenza passata in strada, con o senza gang. In secondo luogo tramite il microfono di chi ha voluto rendere omaggio ai loro ispiratori e padrini: oltre al newyorchese Donald D – che ha vissuto in diretta quel periodo frequentando alcuni dei protagonisti citati –, figurano sul cd vari membri della scena italiana: Dj Pandaj, C.U.B.A. Cabbal & Dj Dsastro, Esa & Shablo, Assalti frontali, Lord Bean & Painè, Mastino & CeeMass, Tormento & Bonnot, Polo, Vaitea & Voolcano, Kiave, Lugi, Ghemon Science & MacroMacro, Pinto & 3D e The Reverse.

I pionieri delle quattro discipline hip hop raccontano aneddoti emblematici o che addirittura hanno segnato la storia di questa cultura che dalle origini a oggi si è diffusa e sviluppata in maniera massiccia continuando a sconfinare, a incidere in altri ambiti. Ecco allora u.net che dà giusto rilievo al rapporto, sempre più intenso, tra Afrika Bambaataa e il concetto di pace; che ci fa vedere – anche grazie ad alcune notevoli foto dellepoca – come l’hip hop abbia influito sulla moda (compreso il versante trendy-vintage odierno); che ribadisce come la prima hit rap, Rapper’s Delight, sia stata una mossa astuta per ottenere un richiamo internazionale senza correre rischi, visto che la Sugarhill Gang era composta da innocui outsider semisconosciuti nel giro; che ci fa scoprire come il blackout newyorchese dell’estate del 1977 sia stato non solo un momento di rivolta e saccheggio – anche di svolta per i dj che riuscirono ad appropriarsi delle migliori apparecchiature –, ma abbia anche mandato in crisi economica alcune famiglie. Questi e decine di altri risvolti compongono un suggestivo spaccato hip hop utilissimo per la comprensione di questa cultura. Abbiamo dialogato via mail con u.net, alias Giuseppe Pipitone.

È una forzatura o si può dire che l’assunto di partenza del libro sia che le situazioni di degrado, disagio e violenza sono anche terreno fertile per la creatività e l’arte?

Più che un assunto direi che quelle appena descritte furono le condizioni in cui nacque l’hip hop, ciò che successe nel Bronx negli anni Settanta. La mancanza di qualsiasi tipo di prospettiva creò le premesse per la nascita del più importante movimento culturale del nostro tempo. Quello che fu il clima in cui lo scambio, la condivisione e la sintesi di tradizioni culturali differenti, che interagivano nel medesimo ambiente, posero le premesse per quell’esplosione creativa che dal Bronx conquisterà prima la città di New York, poi la nazione e, infine, il mondo intero. Quei giovani neri e latini hanno lottato per ottenere visibilità e riconoscimento in una società che li aveva spinti ai margini della vita politica e sociale, in una giungla postmoderna in cui svilupparono nuove forme d’espressione culturale e di intrattenimento attraverso l’uso di strumenti poveri, l’adattamento ambientale e la sintesi creativa delle contraddizioni, in pratica facendo tesoro proprio da “assenza e desiderio”.

Un passaggio che assurge a classico nelle vite di molti artisti che citi è il momento della redenzione, il ripudio della vita violenta…

Possiamo tranquillamente affermare che l’80% dei pionieri della cultura hip hop fossero membri di una gang, La violenza era la quotidianità nel Bronx di quegli anni e le gang rappresentavano una sorta di struttura organizzata, un elemento di sopravvivenza per i giovano che abitavano quell’area. Dopo la tregua del 1971 tra le gang, che pose le premesse per la nascita e l’evoluzione della cultura hip hop, la violenza non terminò all’improvviso, come avrebbe mai potuto accadere? L’esempio classico del passaggio tra la vita violenta e la redenzione (se così la vogliamo definire) è esemplificata dalla figura di Bambaataa, passato dall’esser capo guerra dei Black Spades a maestro dei dischi per i giovani che affollavano le sue serate. Bam partecipò direttamente a molte “guerre” e scontri e lentamente comprese la necessità di un cambiamento. La morte dell’amico Soulski ad opera della polizia nel 1975, loo convinse dell’urgenza di una svolta e così si adoperò per trasformare gli Spades in un’organizzazione che avesse un impatto positivo sul territorio, la Zulu Nation. L’esempio offerto dalla personalità magnetica di Bam fu cruciale per moltissimi giovani che iniziarono a sfidarsi a passi di danza o in rima invece di scontrarsi fisicamente. Molte gang si trasformarono in crew e operarono come security ai party, i Casanovas con Flash così come gli Zulu con Bam.

Nel libro insisti nel sottolineare il ruolo giocato dalla comunità ispanica nella storia dell’hip hop. Perché in questo ambito rispetto agli afroamericani gli ispanici sono passati in secondo piano (esperti in materia a parte)?

Negli anni Ottanta l’elemento che ottenne maggiore visibilità mediatica fu il rap (o MCing), l’ultimo elemento a nascere e svilupparsi all’interno della scena hip hop del tempo. I protagonisti dei primi dischi sono per lo più afroamericani e l’MCing richiama con forza la tradizione orale afroamericana: ecco probabilmente una delle ragioni principali per il tipo di atteggiamento di cui parli. Prendendo a riferimento invece i diversi elementi inclusi sotto il nome di hip hop, con particolare riferimento al Bboyng, ci accorgeremo di come le componenti latina e caraibica abbiano giocato un ruolo fondamentale nell'evoluzione del genere. La danza conosciuta dai più come breakdance altro non è che il risultato della sintesi dei diversi apporti di etnie differenti e delle loro tradizioni culturali. Per comprendere meglio ciò di cui sto parlando consiglio a tutti la visione di Mambo to Hip Hop (2008) di Henry Chalfant, regista, fotografo e autore dell'introduzione di Renegades of Funk.

Che livello ha raggiunto la cultura hip hop in Italia? Spostandoci anche fuori dal giro degli appassionati, nella società italiana inizia ad esserci una coscienza nei confronti dell’hip hop?

Una domanda complessa a cui non saprei come rispondere. La cultura hip hop non è così diffusa e pervasiva in Italia come invece accade in altri paesi; di conseguenza l’importanza di questo movimento culturale non è ancora percepita a pieno. Il fenomeno su sta diffondendo lentamente e ciò è riscontrabile nel numero di sigle, pubblicità e film che utilizzano l’hip hop come colonna sonora. Le trasmissioni musicali, però, anche quelle specificatamente hip hop non operano per diffondere conoscenza ma solo prodotti e video musicali e non.

La maggior parte degli adolescenti conosce l’hip hop per quello che vede su Mtv o legge su riviste musicali patinate e di dubbia validità culturale. Nel tentativo di ovviare a tutto ciò, di diffondere conoscenza, di avvicinare i giovani alla lettura e, soprattutto, con l’idea di andare oltre alla pagina scritta, ho chiesto ad alcuni MC e producer italiani di collaborare con me nel tentativo di trasformare la prosa in rima e di affiancare alla storia orale una storia musicale da quest’ultima direttamente influenzata. L’esperimento sembra perfettamente riuscito, soprattutto, grazie all’aiuto, alla dedizione e all’entusiamo dimostrato dagli artisti coinvolti. L’obiettivo è proprio quello di creare una base di coscienza critica che possa portare a nuove realizzazioni e progetti che non tocchino solo e unicamente la produzione musicale.

Un po’ di musica per integrare al meglio la lettura di Renegades of Funk?

Jimmy Castor, It’s Just Begun (Rca, 1972), Incredible Bongo Band, Bongo Rock (Pride, 1973), Chic, Good Times (Atlantic, 1979), Sugarhill Gang, Rapper’s Delight (Sugar Hill, 1979), Afrika Bambaataa & Soul Sonic Force, Planet Rock (Tommy Boy, 1982).

Spot on u.net!

da il Mucchio selvaggio, marzo 2009

di Damir Ivic

Ci sono musicisti che partono prevenuti verso i giornalisti, e che forse le interviste non le dovrebbero proprio fare almeno non quelle al telefono. Grandmaster Flash è uno di questi. Ecco come sono andate le cose: quando finalmente riusciamo a parlargli (dopo un suo clamoroso bidone due giorni prima), dopo due minuti al telefono cominciamo una delle domande. Una cosa tipo: “Allora Flash, se ripensiamo agli anni 80…”. Al che lui interrompe e fa: “Avete rotto il cazzo voi giornalisti. Non sapete nulla. Siete ignoranti. Tutti a parlare degli anni 80, Flash di qua, Flash di là, sempre e solo stramaledettissimi anni 80, quando invece l’hip hop è nato nel 1969, hai capito? Sei un ignorante, ecco cosa sei, tu e tutti i tuoi colleghi!”. Caro Grandmaster Flash: sei un grande, sei uno dei padri dell’hip hop, ma ahinoi sei anche un cafone. Se tu non lo fossi stato, e se c’avesse fatto finire la frase, la domanda sarebbe stata: “Se ripensiamo agli anni 80, si va a parare su quando l’hip hop è diventato un fenomeno riconosciuto dalla discografia e dai media ufficiali; ma in realtà le cose nascono almeno un decennio prima, tu non solo c’eri ma sei stato uno dei protagonisti cruciali, è di questo che vorrei farti parlare”. Già. Flash avrebbe sentito questa domanda. Non è andata così. Peggio per lui. Anche perché tutto quello che ci ha detto, in venti minuti, è stato un misto di arroganza e svogliate banalità. Ma, attenzione, cosa ci importa di Grandmaster Flash se abbiamo Renegades of funk di u.net? In realtà ci sarebbe piaciuto eccome parlare con uno dei padrini dell’hip hop e raccogliere aneddoti cruciali, ma il libro appena citato – perché di libro si tratta, pur con cd allegato – è una fonte di enorme valore di aneddoti diretti su quelli che sono i veri inizi dell’hip hop, quelli lontano dai riflettori di radio, tv ed etichette. Dietro lo pseudonimo u.net si nasconde Giuseppe Pipitone, da sempre studioso e fervido appassionato di quel filone della cultura e della storia nera che collega le Pantere Nere con Mos Def passando per le gesta dell’hip hop più autentico, quello originario. Già autore di Bigger than hip hop, con Renegades of funk approfondisce il suo viaggio alla ricerca delle origini del rap quanto dei graffiti, del deejaing e della breakdance, secondo il sacro principio (che si rischia di dimenticare) per cui l’hip hop è l’insieme di quattro discipline. Si va direttamente alla fonte. Non è infatti un libro da musicologo che disseziona con piglio da accademico e/o storico della musica quello che è l’hip hop (l’approccio più comune, vedi alla voce David Toop), è un libro in media res, dove si parla direttamente con alcuni protagonisti – quelli sfuggiti alla ribalta mediatica, quindi per certi versi ancora più interessanti, nel 2009 – affrontandoli con gran rispetto.

Insomma venti euro da sganciare in libreria assolutamente necessari se si vuole respirare l’aria che per davvero ha generato una cultura musicale e non dominato nei decenni successivi, evitando di restare intossicati da generalizzazioni da osservatore freddamente esterno o dai lustrini del mainstream. u.net forse non ha la scorrevolezza dei grandi giornalisti musicali (Reynolds in primis), ma questo a ben vedere più che un difetto diventa quasi un pregio: con la sua scrittura diretta ed essenziale Renegades of funk guadagna in autenticità, è lo scrittore/studioso ad essere al servizio della Storia (con la “s” maiuscola) e non viceversa. E se qualcuno pensa che venti euro per un libro di 240 pagine siano tanti, tenga conto che c’è di mezzo anche un cd: dodici tracce dove per lo più sono nomi forti della scena nostrana contemporanea (Assalti frontali, Esa, Tormento, Macro Macro, e molti altri, diremmo davvero tutti bravi) a creare dei tributi in rap e in beat alla vecchia scuola, quella raccontata dal libro. Tracce davvero ottime, ben rifinite e godibili, non riempitivi monchi messi lì tanto per far numero. C’è cura, dunque, e amore dietro a questo prodotto editoriale. È c’è la testimonianza di una fase storica spesso e volentieri trascurata, sacrificata all’altare del Lill’ Wayne di turno. Ma anche per capire Madib e Flying Lotus e le destrutturazioni futuriste ipercontemporanee intellettuali odierne che tanto ci piacciono è doveroso sapere quali sono le radici, le nude, semplici, sincere radici.

Una delle parti più interessanti del libro è il momento in cui si traccia la storia del primo pezzo hip hop nella storia della discografia, ovvero Rapper’s Delight della Sugarhill Gang. Una storia non propriamente cristallina, dove ad avere la meglio sono i furbi e i biters, ovvero coloro che usano idee altrui: un peccato quasi mortale in un movimento artistico nato unico e originale e che metteva queste stesse qualità in cima alla scala dei valori, all’epoca. Bei tempi.

martedì 3 marzo 2009

Renegades of Funk su Blow Up!

(Blow Up – Marzo 2009-03-03 - Mauro Zanda)

Nel mondo delle scorciatoie e delle soluzioni a portata di mano, uno come u.net non riesci proprio a incasellarlo da nessuna parte: non giornalista, non scrittore, non dj/producer prestato alla causa della divulgazione. U.net è uno strano e raro caso di ricercatore sul campo, uno con una passione così smodata per la storia dei movimenti artistici e politici afro-americani, da aver di fatto dedicato gli ultimi dieci anni della sua vita alla comprensione (rigorosamente diretta) di quell’incredibile fenomenologia. Come logica conseguenza anche i suoi libri (andatevi a ricercare pure l’ottimo Bigger Than Hip Hop, Agenziax, 2006) elidono le categorie più convenzionali della saggistica di genere, preferendo invece rincorrere un contesto adatto all’esperienza sinestetica: racconti affidati prevalentemente ai protagonisti della prima ora, istantanee vivide, senza mediazione o interpretazione o interpretazione di sorta, capaci anche solo per un attimo di farci toccare con mano quella speciale vibrazione, la stessa che permise ad un pugno di giovani leoni metropolitani di scrivere la più importante rivoluzione sotto-culturale degli ultimi 35 anni. Frammenti, flash, impressioni e ricordi fieri che abbracciano in egual misura i 4 elementi della cultura hip hop fino a subliminarsi compiutamente nel quinto, quello auspicato dal profeta Bambaataa: la conoscenza. Straordinaria in tal senso l’idea del disco-guida, “storia musicale che facilitasse la comprensione di questa cultura a tutti gli appassionati… pezzi originali che hanno una relazione strettissima con i saggi presenti nel libro”. Non dunque una raccolta dei brani dei pionieri, ma un vero e proprio lavoro su commissione (ognuno ha preso in cura un capitolo) che ha coinvolto la crema della scena italiana: fra i tanti, segnaliamo uno straordinario omaggio ad Afrika Bambaataa degli Assalti Frontali, un pezzone firmato da Cuba & Disastro che racconta la mitica riunione delle gang del dicembre del ’71 (ovviamente con sample de “I Guerrieri della Notte), Tormento e Bonnot su Grandmaster Flash, e poi (un gradino sotto ma sempre di grande impatto) Esa & Shablo su Kool Herc e Mastino & CeeMass (Motus Operandi). L’operazione, complessa e ambiziosa, fila che è una bellezza, con tanto d’introduzione a 24 carati di Henry Chalfant e un’infinità di aneddoti sfiziosi svelati dall’interno. Unica nota parzialmente stonata, la prolissità delle round table sui temi specifici, che dopo qualche pagina perdono un po’ di presa sul lettore. Ma in definitiva l’autore sembra aver colto la sfida originaria: “creare uno stile originale con il quale nessuno sia in grado di competere, nello spirito autentico delle hip hop battle”. Sucker giornalisti, siete avvisati.

lunedì 2 marzo 2009