giovedì 29 gennaio 2009

Alfredo Jaar per COX 18

Alfredo Jaar, l'artista fino a pochi giorni fa in mostra all'Hangar Bicocca e allo Spazio Oberdan con It is difficult e con la serie Questions questions (in cui si chiedeva: "cos'è la cultura?" "la cultura dell'emergenza" "alla ricerca della cultura a Milano".) ha scritto un testo in difesa di Cox 18 in cui invita tutti i milanesi a difendere lo spazio e definisce lo sgombero un "crimine e vero e proprio".
vi preghiamo di diffonderlo con ogni mezzo.


http://www.petitiononline.com/cox18/petition.html

Il divario tra la cultura italiana e la situazione attuale è scioccante e aumenta di giorno in giorno.
Questo vuoto è causato da numerosi problemi strutturali, come l’assegnazione politica di posizioni culturali che vengono rimpiazzate da ogni nuovo governo. In queste circostanze la continuità e la profondità dell'impegno sono impossibili.
Un altro problema che non si riesce ad affrontare è la mancanza di musei d'arte contemporanea e di istituzioni simili, completamente dedicati alle arti visive e alla cultura. Se paragonati per esempio a quelli di Germania, Francia o Spagna, i numeri dell'Italia sono incredibilmente miseri. Questo è davvero drammatico e assurdo.
Ciò ha penalizzato enormemente la visibilità nel mondo degli artisti e degli intellettuali italiani, che sono costretti a emigrare.
Di fronte a un panorama talmente triste e desolato, gli artisti e gli intellettuali italiani sono stati costretti ad affrontare in prima persona questo impellente argomento. È una questione di pura sopravvivenza.
È così che sono nati luoghi come Cox 18. Creati da artisti e da intellettuali per artisti e intellettuali, sono gli spazi culturali più generosi delle città e hanno un ruolo fondamentale di cui non si fa carico nessun'altra istituzione. Sono spazi aperti, liberi, multidisciplinari e democratici. Cox 18 è un centro sociale storico che ospita anche la libreria Calusca e l'Archivio Primo Moroni. Cox 18 e altri spazi, come per esempio la Casa degli Artisti, hanno un'importanza vitale per la sopravvivenza della cultura italiana. Una cultura viva deve essere creatrice e Cox 18 crea cultura, la condivide con tutti i milanesi e gli italiani. La protegge. La accudisce con tenerezza. La cultura è la sua raison d’être.
Cox 18 è uno spazio di speranza.
Oggi si trova sotto l’assedio di un governo autenticamente fascista, che non capisce il termine cultura. Che non riconosce la cultura come elemento fondamentale della vita.
La mia opera artistica non esisterebbe senza Gramsci, Pasolini o Ungaretti. Quando ho creato il mio progetto pubblico Questions, Questions per le strade di Milano, stavo rendendo partecipi i milanesi delle mie paure in merito alla cultura italiana. L’attuale realtà di Cox 18 e di altri spazi simili sono una drammatica conferma di questi timori.
Milano si deve mobilitare per fermare questo crimine. Perché si tratta di un crimine vero e proprio, perpetrato davanti ai nostri occhi increduli. Ci sono già stati fin troppi delitti. Ora basta. La cultura italiana si merita di meglio.

Alfredo Jaar, 29 Gennaio 2009

(traduzione di Andrea Scarabelli)




The gap between Italian culture and its present reality is shocking and growing every day.
This vacuum is caused by many structural problems like the political appointment of cultural positions that are replaced with every new government. Under these conditions continuity and depth are impossible.
Another intractable problem is the lack of contemporary art museums and similar Institutions fully dedicated to the visual arts and culture. Compared to Germany, France or Spain, for example, the numbers for Italy are incredibly poor. It is truly dramatic and absurd.
This has greatly affected the visibility of Italian artists and intellectuals around the world. They are forced to emigrate.
In the face of such sad and desolate panorama, Italian intellectuals and artists have been forced to take this urgent matter in their own hands. It is simply a matter of survival.
This is how institutions like Cox 18 were born. Created by artists and intellectuals for artists and intellectuals, they are the most generous cultural spaces of the city and play a fundamental role that no other institution plays. They are open, free, multi-disciplinary, and democratic. Cox 18 is an historical social center that also hosts the bookstore Calusca and the archives of Primo Moroni. Cox 18 and other institutions like Casa degli Artisti for example, are vital for the survival of Italian culture. A living culture is one that creates, and Cox 18 creates culture, and shares it with all the citizens of Milan and Italy. It preserves it. It cherishes culture. Culture is its reason d’etre.
Cox 18 is a space of hope.
Today it finds itself under assault by a truly fascist government that doesn’t understand the word culture. That doesn’t recognize the concept of culture as a fundamental element of life.
My work as an artist would not exist without Gramsci, Pasolini or Ungaretti. When I created my public project Questions, Questions for the streets of Milan, I was sharing my fears about Italian culture with the citizens of Milan. The present reality of Cox 18 and the others is a dramatic confirmation of those fears.
Milan must mobilize to stop this crime. Because it is truly a crime being perpetrated in front of our incredulous eyes. There have been too many crimes already. Enough is enough. Italian culture deserves better.

Alfredo Jaar, 29 January 2009

mercoledì 28 gennaio 2009

Vincenzo Latronico e Kurt Vonnegut a proposito di Cox 18


Lo scrittore Vincenzo Latronico da qualche tempo tiene una rubrica settimanale all'interno della trasmissione Flatlandia di Radio onda d'urto, durante la quale si mette in contatto con Kurt Vonnegut, nell'aldilà, tramite uno speciale telefono progettato dallo stesso scrittore americano,lo Hooligan. Con lui commenta le notizie della settimana.
Questa rubrica si chiama Mai più soli, e nella puntata andata in onda lunedì 26 gennaio si parla dello sgombero di Cox 18.
Eccovi il testo, ovviamente ringraziamo Vincenzo (e Kurt, ci mancherebbe altro!).



Kurt Vonnegut non è mai stato a Milano, o perlomeno non se lo ricorda. Ma quando ha saputo dei bombardamenti che Milano ha subito nella seconda guerra mondiale, delle ricostruzioni frettolose e invadenti, mi ha detto di essere contento di non averla mai vista. “Per fortuna che non ci sono mai stato”, mi ha detto Kurt. “Non so cosa avrei provato, passeggiando per il centro ricostruito, per le vie di marmo lucido. Sarebbe stato come fare l’amore durante un’autopsia.”
Kurt Vonnegut non è mai stato a Milano, quindi non ha reagito immediatamente, l’altro giorno, quando dal mio capo dello Hooligan gli leggevo la rassegna stampa della settimana, per la prossima puntata di Mai più soli. No, non ha reagito quando gli ho detto dello sgombero, a Milano, del centro sociale Cox 18, ma da quelle parti passava una figura lucidissima e circospetta, che, appena lo ha sentito, gli ha strappato di mano la cornetta e ha chiesto maggiori informazioni. “Merda”, si è limitato a dire.
Quella persona è Primo Moroni, ballerino e libraio, e alcune altre cose. Aveva una libreria nel quartiere ticinese, a Milano, la Calusca City Lights. Una quindicina di anni fa l’aveva trasferita al Cox 18. Era una libreria, era un archivio, era il centro di documentazione sui movimenti operai e studenteschi più importante d’Italia. Lo è ancora, ma ci sono i sigilli, davanti, c’è la polizia.
Primo non ha voluto dire niente di quello che è successo, non prima di aver capito esattamente cosa è successo. Non riusciva a spiegarsi quale interesse potesse avere il comune a chiudere un bene di tutti, come il Cox. Non capiva la loro strategia. Ha chiesto consiglio a un esperto, che ha detto che neppure lui capiva cosa gli passasse per la testa.
“No, proprio non capisco”, ha detto l’esperto. “Cioé, capisco questa Moratti dove vuole andare a parare, approvo anche, volendo. Lo sgombero, le cariche, le antisommossa… sembrava aver imparato proprio bene. Eppure non capisco perché non ha ancora fatto sbudellare gli occupanti e violentato le loro donne. Sai, Primo”, gli ha detto Attila, il re degli Unni, “i nostri tempi si faceva così.”
Comunque. Primo non ci ha messo molto a rendersi conto che se le cose vanno avanti così, i luoghi di resistenza a Milano avranno vita breve. “Certo”, ha detto poi, “a quel punto la resistenza si sposterà altrove, e anche questi altri posti verranno sgomberati: le librerie, le biblioteche, i circoli culturali, le Arci, e così via, come i birilli… Spero che ci sia un bel corteo quando alla fine decideranno di sgomberare anche l’ospedale Niguarda.”

Kurt, però, ligio allo spirito bipartisan che anima la linea politica di Radio Onda d’Urto, mi ha detto di ricordare anche gli aspetti positivi di questa città del nord che sembra un corpo sotto anatomia. Mi ha detto di ricordare dei grandi lavori che si stanno facendo per proiettarci in un futuro pieno di grattacieli e cose luccicanti, un futuro vicino vicino, l’Expo 2015. Proprio mentre me lo diceva, poi, si è fatto avanti un ragazzo arrivato alcune settimane fa, e rimasto sempre in silenzio, se si esclude un breve flirt con Ignazio di Loyola. Nessuno sa come si chiami, e anche da noi i giornali non lo hanno detto, ma faceva il muratore, lavorava alla periferia nord di Milano, vicino casa mia, ed è precipitato da una gru che lavorava e lavora ancora, giorno e notte, alla costruzione di due grattacieli. Mentre precipitava, ci ha raccontato, avrebbe voluto agitare le braccia come una grossa farfalla nordafricana, ma non poteva, perché le braccia se le era rotte schiantandosi contro una putrella nei primi metri della caduta.
“Sbandieravano al vento come mantelli!”, ci ha spiegato. Lui, ci ha detto, voleva rappresentare la voce bipartisan della trasmissione. Milano, ha detto poi, starà anche sgomberando un pezzo della sua anima e delle sue viscere, ma ha grandi progetti per il futuro. I grattacieli trasparenti, i parcheggi, tutto questo gli sembra un ottimo auspicio, e ce lo ha detto.
“Mi sembra un ottimo futuro”, ci ha detto. “Un futuro per cui sono felice di aver lavorato, e di essere morto così. No, sul serio”, ha proseguito, pensandoci un po’. “Non mi dispiace di essere morto volando giù da una gru per costruire grattacieli di appartamenti di lusso. Mi sembra una morte con uno scopo. Sono morto per produrre settemila euro al metro quadro. È qualcosa. È molto meglio, ad esempio, che essere morto per niente in Irak.”

Qui Vincenzo Latronico, dalla periferia nord di Milano, in collegamento con Kurt Vonnegut, dall’aldilà. Milano tua mamma.

martedì 27 gennaio 2009

La famiglia Moroni risponde alla Moratti

Riportiamo il comunicato stampa della famiglia Moroni in merito alle pretese avanzate ieri da Letizia Moratti sull'Archivio Primo Moroni.

Oggi abbiamo appreso dalla stampa che il sindaco Letizia Moratti avrebbe intenzione di occuparsi dei materiali dell'Archivio Primo Moroni e che vorrebbe addirittura spostarli in una non meglio identificata sede del Comune di Milano.

Se questa giunta avesse avuto minimamente a cuore l'Archivio Primo Moroni non avrebbe mandato ingenti forze di polizia e militarizzato un intero quartiere per sgomberare il centro sociale Cox 18, cercando di bloccarne la più che trentennale attività e impedendo la libera fruizione sociale dei materiali dell'Archivio e della Calusca City Lights.

Se a muoverla fosse stato qualcosa di diverso da una volontà di mostrare i muscoli la cui protervia è pari solo all'ignoranza e all'avidità già dimostrate in troppe altre occasioni, avrebbe invece rispettato la loro collocazione nel luogo in cui Primo aveva deciso dovessero stare.

Ribadiamo quindi che per noi familiari la sede naturale dell'Archivio Primo Moroni è il centro sociale di via Conchetta 18 e che se questa amministrazione s'illude di fare diversamente incontrerà la nostra più ferma opposizione.

Cox 18, l'Archivio Primo Moroni e Calusca City Lights sono affasciati e difesi da quella solidarietà attiva che si è espressa durante tutti questi giorni. Non si toccano.

Sabina, Maysa, Anna e Chiara, familiari di Primo Moroni

lunedì 26 gennaio 2009

Manifestazione di sabato 24 per COX 18: una cronaca.


Proseguono le iniziative per COX 18: oggi a piazzale marino fino a notte in piazzale Marino:

- Riapre la libreria Calusca: banchetto di libri, riviste, autoproduzioni

- Teatro e musica con:

Walter Leonardi, Chinaski, Flavio Pirini, Folco Orselli, Cesare Basile, Angelo Pisani, Lucia Vasini, Paolo Rossi.

Per far sentire alla Moratti di cosa ne pensiamo della sua nuova uscita con cui afferma di volersi appropriare dell'Archivio Moroni... leggete il blog di Conchetta per credere!

Riportiamo ora una cronaca diretta, personale ma obiettiva della straordinaria manifestazione di sabato, che i giornali hanno vergognosamente fatto passare sotto silenzio, focalizzandosi su violenze e danneggiamenti inesistenti.
Il brano che riportiamo è di un nostro amico, Andrea Gessner, che ringraziamo, e che esprime perfettamente il sentimento della città di Milano di fronte a uno sgombero talmente insensato (oltre che - ribadiamolo - illegittimo).

COX 18 - UNA CRONACA DI SABATO 24 GENNAIO

Visto che i giornalisti che lavorano per i giornali (manifesto escluso) non sanno farlo, qualcuno deve raccontare quello che è successo ieri.
parto la mattina da roma: lì piove, a firenze ancor più, da modena a oltre fiorenzuola cadono fiocchi che sembrano già palle di neve. A milano è grigio, fa freddo: è una giornata ferma, seria. Sembra proprio di stare a milano. Sembra che oggi non sia giorno per ironie.
Voloacasapermollareleborse, mi cambio prendo un cappuccino caldo perché so che farà un cazzo di freddo. In metrò la gente che deve scendere a porta genova ha l’espressione tesa, tirata. Non si parla molto.
Dalla via vigevano si sentono i primi cori, i primi canti.
In piazza 24 maggio ecco andrea con caterina, ecco marco, c’è anche alessandro, sta con antonio, con loro c’è gabriele. Arriva simone con ginevra, poi l’altro simone, con c., che se ne va subito. Di lontano vedo andrea, ancora uno.
Siamo qui con mille altri duemila tremila chi lo sa, perché il comune ha dato ordine illegalmente di sgomberare illegalmente il conchetta, il cox 18, un posto dove tutti siamo stati, per bere una birra, per ballare, per parlare, per sentire qualcosa, per trovare un libro. Quello che vuoi.
Illegalmente perché c’è una causa in corso tra l’associazione che lo gestisce e il comune con udienza fissata a giugno 2009.
Illegalmente perché è lì da più di 30 anni e c’è ancora una cosa che si chiama uso capione.
Illegalmente.
(Lo spaventoso decorato ha dichiarato che lui li vuole chiudere tutti i centri sociali, perché sono realtà borderline. Borderline. Chissà perché mi viene in mente l’arte degenerata).
Il concentramento di gente pare un po’ teso, non tira una bella aria. La gente è incazzata nera. Il corteo sta per partire, ritarda perché la polizia o i carabinieri hanno fermato due che volevano venire, poi rilasciati dopo circa tre ore. Mi dicono che davanti non ci saranno problemi, non vogliono problemi, dietro qualcuno può voler fare un po’ casino. Piano piano si parte, percorriamo corso di porta ticinese, poi svoltiamo a destra sui navigli, e lì rivedo andrea e caterina e lorenza che stanno in cordone; mi cordono con loro. Stefano sta facendo le foto per qualche agenzia. Svoltiamo a sinistra in corso italia. dal pulmino che apre il corteo, anticipato solo dalle ragazze del cox 18, qualcuno parla, a turno. Dal corteo partono slogan contro “decoratopezzodimmerda” contro la moratti “letiziamoratti non hai capito niente, conchetta 18 non si vende”. Conchetta 18 non ha paura. Il microfono ricorda come stanno le cose, alcuni di quelli che parlano sono pacati, altri incazzati come dei puma, alcuni ricordano alfredo jaar e la sua domanda rivolta alla città in questi tempi: cos’è la cultura? Altri ricordano ferlinghetti, il beat, hovistolementimiglioridelmiotempo, On the road. Al duomo il microfono ricorda primo moroni con l’immagine del catcher in the rye, un salvatore - il giovane holden e tutto il resto – e cresce questo strano slogan “questi libri sono la nostra storia” , cresce come un’onda, prima piano poi sempre più forte - la voce che lo scandisce diventa ferma precisa drammatica urla – una frase che non fa rima non rimanda a chissà quale immagine, però davanti al duomo si sentono migliaia di persone che urlano a tutto fiato “questi libri sono la nostra storia” - una cosa incredibile. Malgrado siano tutti furibondi si mantiene la calma, non si cerca lo scontro fisico, la rabbia la si urla. Ci guardiamo intorno dietro davanti: cazzo siamo tantissimi. Pensi che se sei così tanti puoi fare delle belle cose. “chiediamo ascolto - ci danno polizia - è questa la loro - democrazia”. Possiamo farci ascoltare.
C’è anche otta in corteo, racconta del biko. Da qualche parte c’è anche alem. Arriva betta, si cordona a noi, poi ecco fabrizio e giulia. dal duomo abbiamo girato in via torino, stiamo ormai tornando indietro, è ormai buio. Fa freddo, freddissimo. Ci scaldiamo urlando e camminando e parlando e fumando.
Fa freddo cazzo un gran freddo. Si continua su via cesare correnti – che dio lo abbia in gloria e non si sa il perché – poi verso la stazione di porta genova, sempre più stanchi, infreddoliti, cazzo contenti, incazzati come spie. Ma lo vedete quanti siamo? Ma vi rendete conto? Ma lo sapete quel che fate? sono le domande che nascono normali. In via vigevano spunta dado, ma massi non c’è, è a casa; ecco i bengala, ecco i fotografi dei giornali che arrapati come dodicenni skattano: mio dio accendono i bengala. i bengala. mio dio. Domani questa la pubblicano. C’è violenza. C’è kasino. No. Niente di questo. C’è un corteo di gente inkazzata che arriva in piazza 24 maggio, come alla partenza. Ma non c’è più antonio scurati, non c’è più gabriele salvatores. Quelli avevano da fare, scrivere lavorare, cose. Sono andati via al concentramento. Non hanno fatto un metro di corteo. Ma ai giornalisti presenti questo non interessa. Hanno intervistato loro, il nome, il simbolo, chissà cosa si immaginano. No, qui c’è popolo. Ma non interessa a nessuno: niente interviste, nessuna curiosità, a parte il manifesto chesempresialodato. Poi due pirla tirano due raudi sulla polizia, superando con preciso lancio il cordone di protezione alla madama fatto dai fichissimi attivisti del conchetta. Un poliziotto/carabiniere si fa male alla mano. Dispiace. Ma se qualche bella testa non avesse avuto la pensata di chiudere il conchetta, tutto ciò non sarebbe stato. Neanche una mano ferita ci sarebbe stata. Neanche una, cazzo. Questo è quanto. Come un miracolo, un corteo spontaneo di migliaia di persone incazzate si scioglie da solo, senza gravi problemi.
Un ferito lieve, una trentina di taggatori, diecimila persone in corteo. Cosa colpisce di più?
Da quanto non capitava?
Questo giorno è un gran giorno per noi, per milano, per la dignità di un pensiero diverso, per il rispetto dell’essere minoranza.
E che cosa cazzo abbiamo letto nei giornali – il manifesto escluso?

Andrea Gessner

venerdì 23 gennaio 2009

CONTRO LO SGOMBERO DI COX18


Ieri mattina, con un blitz all'alba che ha bloccato militarmente il quartiere, è stato sgomberato il CSOA COX18, che ospita anche la Libreria Calusca e l'importantissimo Archivio Primo Moroni.
Non possiamo fare finta di niente davanti a un atto gravissimo e insensato come questo.
Agenzia X esprime tutta la sua solidarietà con il Cox, appoggia e partecipa a tutte le manifestazioni e le iniziative in sua difesa in questi giorni.

Per firmare la petizione online cliccate QUI

Ecco invece il comunicato ufficiale della riunione all'USI di ieri sera.
Venite domani al corteo e diffondete!

Appello per iniziative in solidarietà con Cox 18 di oggi, venerdì 23 gennaio 2009

Riprendiamoci Cox 18, la Calusca e l’archivio Primo Moroni

Il 22 gennaio 2009 alle 7.00 del mattino un centinaio di poliziotti è entrato nel Centro Sociale Conchetta, fondato più di 33 anni fa, e della libreria Calusca nata nel 1971 e del prezioso e storico archivio Primo Moroni..
la risposta della città è stata tempestiva, in breve si sono radunati davanti ai blindati delle forze dell’ordine molti compagni, amici, abitanti del quartiere.
Si tratta di uno sgombero illegale che non tiene conto di una causa intentata dal comune al centro nel mese di luglio 2008 per la riappropriazione dei locali, una vertenza ancora in corso. Il vicesindaco De Corato, da sempre in prima linea contro le realtà cittadine non omologate, scarica su questore e prefetto la responsabilità dell’operazione. Il Pubblico Ministero sostiene di essere stato avvisato a giochi fatti. Poco importa, tutti, invece, concordano che 1’importanza dell'operazione è che il Comune non perda il valore dell’area. Si tratta di una questione “patrimoniale”, come se questo bastasse a spiegare e a giustificare tutto.
Il risultato, al momento, vede il centro sigillato, con tutti i materiali dentro, compresi i libri e le riviste della libreria e dell’archivio. Il Centro Sociale Conchetta, la Calusca, l’Archivio Primo Moroni rappresentano un pezzo di storia importante, e testimoniano oggi la possibilità di eludere il principio di mercificazione. Con essi, in buona compagnia: diversi altri centri sociali, luoghi di libero accesso e libero scambio, i servizi essenziali, il diritto di esistenza, sempre più minacciato dall’esistenza del diritto, e il diritto alla diversità.
La loro sopravvivenza deve essere la sopravvivenza della libertà di agire, di farci padroni del nostro futuro, di non essere pesati per quanto possiamo / sappiamo / vogliamo spendere.
Per quanto ci riguarda non consideriamo chiusa la partita, riconosciamo chi rifiuta l’omogeneità del pensiero unico del mercato: ci vogliono compatibili, compratori comperabili, ordinati e consenzienti. Resteremo ciò che sappiamo essere, ciò che siamo: originali, comunicanti, disomogenei.
Chiediamo a tutti di farsi carico di un pezzo di questo percorso, che è percorso di tutti.

Stasera ore 18.30, nella piazza di fronte alla stazione di Porta Genova: Volantinaggio per il quartiere

Alle 21.30 concerto sotto l’arco di piazza XXIV maggio

DOMANI MANIFESTAZIONE NAZIONALE PER Cox18.

Concentramento ore 15.00 in piazza XXIV maggio.

I compagni e le compagne di Milano presenti ieri sera all’assemblea cittadini presso la sede USI di viale Bligny.

La giornata di ieri...

giovedì 22 gennaio 2009

COX18 - SGOMBERO

Questa mattina la notizia dello sgombero di Cox18.

il presidio e il congelamento dell'azione del comune.

tra poco alle 15.30 davanti a palazzo marino.

venite.

lunedì 19 gennaio 2009

yes, we hope!


...8 years have been a bloody long time...

Martedì 10 gennaio sarà l'ultimo giorno della presidenza Bush e il primo di quella Obama. Speriamo comporti anche un cambio radicale e una presa di distanza dalla disastrosa politica statunitense di questi ultimi otto anni.
Speriamo.
Ma domani, per una sera, penseremo solo a festeggiare.
All'Arci Biko, un club fondato dal nostro amico Alem in onore di Stephen Biko.
Quindi, martedì 10, finito di cenare, tutti in via de Castillia, a Milano, per il party ElectroObama!

venerdì 16 gennaio 2009

"Smoke around europe"... con il Duka!

Enrico Fletzer ha recensito Roma K.O., sulla rivista internazionale antiproibizionista Soft Secrets. Riportiamo la recensione e vi invitiamo a visitare il sito di questo bimestrale edito in italiano, inglese, francese, spagnolo, olandese, polacco e ceco.
Basta cliccare QUI.

Siamo all'ultimo guizzo di follia creatrice di Marco Philopat e del Duka. I due folletti del movimento italiano operanti rispettivamente tra Milano e Roma e che in Roma K.O «romanzo d'amore droga e odio di classe ripercorrono lungo cinque catastrofiche giornate trenta anni di sconvolgimenti che hanno cambiato la storia e la cultura del movimento antiproibizionista del nostro paese. Sono stati bravi nell’attualizzare il mitico droga e rock'n’roll nel corso delle loro a affabulazioni in un paese meschino dove vige una guerra non dichiarata ai poveri e ai diversi, dove tutto è proibito ma come afferma qualcuno occorre cercare di "conquistarsi il futuro con le unghie e con i denti".
I due kamikaze si dimostrano all'altezza dell’arduo compito di rappresentare l'hard core italiano. Estremamente loquaci sono soprattutto in grado di ricomporre in maniera esilarante una profezia auto-avverante sulla prossima e definitiva distruzione di Roma. Marco Philopat, animatore del mitico Virus di Milano, il primo centro del movimento punk italiano a cui aveva dedicato Lumi di punk e Costretti a sanguinare, nel corso di questi anni, è divenuto sempre più avvezzo nel dipanare alcune interessanti leggende metropolitane come nel suo La Banda Bellini, la storia di un gruppo dell'autonomia milanese degli anni Settanta, d'estrazione proletaria e composto di "randa” dell'hinterland milanese che, armati di chillum e di carabine winchester, erano riusciti a mettere in crisi il centro di Milano ma anche le logiche della maggior parte dei gruppi politici dell'epoca.
Un'atmosfera di follia creatrice che avvolge il lettore anche in Roma K.O. che rappresenta la storia di un'intera generazione e che in certi tratti potrebbe ricordare Paura e delirio a Las Vegas. Il libro nasce da un canovaccio rielaborato da oltre cinquanta ore di registrazioni tra protagonisti dei movimenti sociali a cui si sono prestati centinaia di collaboratori e con i contributi più svariati che andavano dagli aperitivi del Mariani, mitico bar di San Lorenzo ai consigli del poeta e scrittore Nanni Balestrini, protagonista indiscusso della letteratura italiana e del Gruppo 63, a cui molti giovani scrittori sono debitori per la sua incredibile abilità d'intreccio tra biografie personali e flusso poetico. Uno per tutti, Balestrini ha da sempre espresso con procedimenti semantici sempre all'avanguardia i punti alti dell'avanguardia politico-artistica e letteraria del nostro paese fin dai tempi di "vogliamo tutto".
Ma è il Duka il vero ispiratore di Roma K.O. a cui come succede per i tanti personaggi il cui nickname altisonante come Il Conte a Venezia o Pino Angoscia a Bologna, svela qualità nascoste o per lo meno perturbanti. La sua pistola è ancora calda come potrete vedere su un bislacco filmato uscito sulla rete. Duka è considerato a torto o a ragione il dandy della scena alternativa romana. Forse perché ai tempi andava a Londra e ci teneva ad avere un aspetto curato pur militando nei centri sociali in cui il look ma non necessariamente importante.
Ignorato per ora incoscientemente dal l'establishment della sua città, la presenza e la prosa del Duka costituiscono una seria minaccia per l'ordine costituito, una vera e propria miccia accesa sotto una Città che si riteneva eterna o almeno prima del Duka che peraltro non odia i media e ne fa parte. Nella vita si occupa di cultura e di musica e ne scrive su "Liberazione" ed ha anche composto un clamoroso I hate music/Odio la Musica per la casa editrice Meridiano Zero.
Sarà una percezione molto soggettiva, ma Philopat e Duka mi ricordano entrambi Peter Pan o forse anche Pinocchio per i caratteristici nasi allungati e per le situazioni più impensabili vissute all'insegna dell'ironia e dell'humour in frangenti spesso drammatici o d’importanza. I loro guizzi e la loro inventiva sono ben rappresentati nel testo che riesce a far scompisciare non solo i già convertiti dell'underground a pugno chiuso o dell'antiproibizionismo militante ma anche la gente comune e forse perché no, gli stessi abitanti delle borgate protagonisti della grande esplosione-implosione di cui parla il libro. Il romanzo fila liscio con un ritmo incessante in una cornice in cui le sostanze e le rivolte improvvise e l'implosione del quartierone romano e che sfociano inesorabilmente in un finale apocalittico: la definitiva e totale distruzione della Capitale.
La storia è ambientata all'interno di un set surreale, nella zona del Corviale, un gigantesco e squallido palazzone che rappresenta egregiamente la periferia romana tanto decantata da Pasolini fino alle storie tossiche di Guido Blumir. Questo vero e proprio postaccio lungo un chilometro concorre per il premio Frankenstein con analoghi scempi edilizi come lo Zen di Palermo, il Virgolone e il Treno di Bologna o i palazzoni di Quarto Oggiaro a Milano. Al Serpentone in futuro potrebbero aggiungersi le centrali nucleari o gli inceneritori, pudicamente chiamati termo-valorizzatori. Ma la lista dei palazzoni implodenti potrebbe allungarsi fino a coinvolgere la stessa Sede Rai di Saxa Rubra a Roma che oltre che materia di numerose inchieste della magistratura e d'arresti eccellenti, secondo una leggenda metropolitana quasi inestirpabile, non sarebbe altro che la copia conforme del supercarcere peruviano di Lima poi riadattata a studio televisivo tra le proteste e i mugugni di tanti giornalisti Rai.
In questo contesto da "nessun dorma" e soprattutto in attesa della tanto auspicata esplosione/implosione di Roma, Philopat e Duka viaggiano in un completo trip pazzoide fatto di rivolta ed allucinazioni e che sembra indicare la strada per il definitivo esodo psichedelico rivoluzionario. Tra la defezione e la protesta è la prima che sembra prevalere nell'immaginario delle plebi in rivolta accampate nella tendopoli di Cinecittà apprestate dal Sindaco V.
Siamo a Roma nel settembre del 2008 in un Leviatano che hanno chiamato Il Corviale e che improvvisamente comincia a cedere come durante un'apocalisse preistorica in cui subisce gravi danni strutturali. Come annuncia il sito di un noto quotidiano romano "La tragedia è stata evitata per un soffio. Ieri notte alcuni teppisti hanno improvvisato un falò nelle cantine del Corviale, e solo il tempestivo intervento dei Vigili del fuoco ha evitato una strage. Secondo una prima ricostruzione, un gruppo di ragazzini adolescenti... Ribattezzato dai suoi abitanti ‘il Serpentone’, il gigantesco modulo abitativo è stato realizzato nel 1970 da un team d'architetti capitanato da Mario Fiorentino, ispirandosi ad un progetto simile di Le Corbusier a Marsiglia. Doveva essere una struttura autosufficiente e dotata di tutti i servizi necessari, una vera e propria città satellite. Il progetto però non e mai stato ultimato, e il gigantesco palazzone (il ‘diaframma che indica la fine della città e l’inizio della campagna’, secondo l'architetto Bruno Zevi) si è da subito trasformato nel luogo simbolo del degrado urbano”.
In questa situazione alla New Orleans il sindaco V. decide di trasferire i seimila aitanti abitanti in una tendopoli allestita a Cinecittà e a ridosso di un Ipermercato dove la rabbia degli sfollati e l'irrefrenabile desiderio della "roba" fanno scattare un meccanismo fuori dagli argini della razionalità, destinato a cambiare persino gli equilibri meteorologici della città eterna. In questo romanzo d'amore droga e odio di classe edito dall'Agenzia X il Duka si prodiga anche in consigli per i viandanti: "Con le sostanze devi stare attento - ogni tanto rischi di annegarci dentro.
È come fare surf. Quando l'onda ti travolge non bisogna andare in panico - basta chiudere gli occhi e la bocca - ti lasci scorrere addosso la massa d'acqua e ti fai trascinare per un po' senza perdere la calma... Solo così puoi riemergere e affrontare fonda successiva''.
Ma l'apoteosi alla Nerone che scatta nel lettore di fronte al Serpentone che brucia sembra anticipare nuove apocalissi per Roma e per l'Italia dopo le conflagrazioni avvenute in quel castello di carte che nel romanzo appare il Corviale. In un crescendo megalomane non resta che rendere omaggio al Duka proprio come fa Gerardo, uno dei protagonisti: "...Penso anche a Ginevra, magari ha sentito pure lei questa bomba, l’aeroporto di Fiumicino e così vicino. Forse il rumore dell'esplosione l'ha raggiunta proprio nel momento in cui saliva la scaletta dell'aereo diretto in Corea del Nord. Forse il Duka ha calcolato anche il momento giusto per darle l'ultimo saluto... Che colpo! Un vero pugno da K.O. per Roma. BUM! Il Duka ha messo l’intera città al tappeto con un diretto in faccia, un colpo da campione.

giovedì 15 gennaio 2009

Comunicato stampa centri sociali

Diffondiamo...

La memoria, il presente e il sindaco con la celtica

Ci sono storie che hanno a che fare solo con il passato, che non parlano al presente e in cui la memoria si trasforma in liturgia. Il tempo scorre e quelle storie si allontanano da noi, come se facessero parte di un'altra vita.

La storia e il nome di Valerio Verbano non appartengono a questa categoria perchè la corsa di Valerio non si è fermata il 22 febbraio 1980, come avrebbero voluto le pallottole dei fascisti. La corsa di Valerio è continuata attraversando generazioni differenti. Solo un anno fa, più di duemila persone hanno invaso le strade del Tufello in un corteo attraversato da studenti, centri sociali, movimenti di lotta per la casa, collettivi femministi.

Un corteo che ha rinnovato la memoria antifascista nelle battaglie contro i "pacchetti sicurezza", gli omicidi sul lavoro, le aggressioni neofasciste e le campagne razziste funzionali soltanto al potere nel tempo della crisi e della guerra globale. Tutto questo, insieme al progetto di Palestra Popolare che porta il suo nome, racconta una memoria viva, una storia attuale e collettiva. La storia di una città ribelle.

Negli ultimi giorni, qualche acuto giornalista ha pensato bene di travisare le parole di Carla, la mamma di Valerio, trasformandole in un invito diretto al nuovo sindaco Alemanno a onorare la figura di Valerio il prossimo 22 febbraio, in via Monte Bianco.

Il sindaco Alemanno vorrebbe con questo gesto "pacificare" una storia del "passato". Non capendo, o non volendo capire, che in quella via e davanti a quella targa, oltre alla memoria storica, c'è la vita e la lotta quotidiana di migliaia di persone che combattono il modello di città e di società che la sua figura rappresenta.

La croce celtica, che il sindaco porta orgogliosamente al collo, è il simbolo più volte usato negli ultimi anni per sfregiare la lapide di Valerio e dietro il quale sono avvenute le centinaia di aggressioni in tutta Italia contro centri sociali, campi rom, migranti, omosessuali e lesbiche, semplici cittadini e cittadine che partecipavano a iniziative pubbliche. Solo pochi giorni fa, il 27 dicembre, c'è stata un'altra aggressione, nello stesso quartiere di Valerio, contro un ragazzo di 18 anni che usciva dall'Horus Liberato dopo un'iniziativa culturale.

Come massima figura istituzionale della città, ci aspettiamo atti concreti, piuttosto che un gesto provocatorio: sollecitare la riapertura del processo per Valerio e chiedere conto a chi di dovere come mai pochi anni fa sono scomparse dagli archivi della polizia diverse prove utili; rivolgersi all'area neofascista a lui limitrofa negli anni '70 e pretendere la verità come più volte richiesto anche da Carla Verbano; rompere qualsiasi relazione politica e istituzionale con quei personaggi e gruppi che aprono covi dove il primo insegnamento è "distruggi il diverso".

Onorare Valerio significa riconoscere progetti, percorsi, sogni che appartengono ai nostri giorni. Primi fra tutti, la Palestra Popolare a lui dedicata, a cui le istituzioni negano a tutt'oggi l'allaccio delle utenze. Una vergogna.

In questo contesto, la presenza il 22 febbraio in via Monte Bianco sarebbe vissuta come uno sfregio alla memoria collettiva e una provocazione politica. Gianni Alemanno non è il benvenuto.

Allo stesso tempo, facciamo appello a tutte le realtà antifasciste e democratiche, i centri sociali, le reti studentesche, le reti migranti, i movimenti di lotta per la casa, le associazioni, per costruire una grande mobilitazione in vista della giornata del 22 febbraio. Una giornata di lotta e di festa per ricordare a tutta la città che la nostra memoria non si cancella perchè vive nelle battaglie di tutti i giorni.

Adesioni metropolitane:
Astra19 spa, Palestra Popolare Valerio Verbano, Horus Liberato 2.0, Kollatino Underground, Strike spa, Esc atelier occupato, Csoa La Strada, ACTIon, Blocchi Precari Metropolitani, Coordinamento Cittadino di lotta per la casa, csoa Corto Circuito, csoa Spartaco, csa Sans Papier, ACTIon-A, Cantiere sociale deCOLLIAMO, ondarossa 32, Centro di Cultura Popolare Tufello, loa Acrobax, RiVolturno, polisportiva All Reds, Factory Occupata, InterOceanica Pirata (Sapienza), RadioTorre soundsystem, csoa Forte Prenestino, csoa ExSniaViscosa, csa La Torre, Palestra Popolare Corpi Pazzi

lunedì 12 gennaio 2009

Pappé sulla "giusta furia di Israele"

Proponiamo un recente intervento dello storico israeliano Ilan Pappé, docente all'Università di Exeter e tra gli autori che intervengono nell'ultimo numero di Conflitti Globali, Israele come paradigma.

Ringraziamo Pappé e Alberto Pesavento, che ha tradotto l'articolo.

La  giusta furia di Israele e le sue vittime a Gaza

La mia visita a casa in Galilea è coincisa con l'attacco genocida israeliano su Gaza. Lo Stato, attraverso i suoi mezzi di informazione e con l'aiuto del mondo accademico, ha diffuso un coro unanime – persino più forte di quello ascoltato durante il criminale attacco in Libano nell'estate del 2006. Israele è sommerso ancora una volta da una giusta furia che si traduce in delle operazioni di distruzione nella striscia di Gaza. Questa sconvolgente autogiustificazione dell'inumanità e impunità non è solo fastidiosa, ma è materia su cui vale la pena soffermarsi, se si vuol capire l'immunità internazionale per il massacro che imperversa su Gaza.

È basata in primo luogo su semplici bugie trasmesse in un linguaggio giornalistico che ricorda i momenti più bui degli anni Trenta in Europa. Ogni mezz'ora un notiziario alla radio e alla televisione descrive le vittime di Gaza come terroristi e il loro omicidio di massa ad opera di Israele come un atto di autodifesa. Israele presenta se stesso alla propria gente come la giusta vittima che si difende da un grande male. Il mondo accademico è arruolato per spiegare quanto demoniaca e mostruosa sia la lotta palestinese, se guidata da Hamas. Questi sono gli stessi studiosi che in passato demonizzarono l'ultimo leader palestinese Yasser Arafat e delegittimarono il suo movimento, Fatah, durante la Seconda Intifada palestinese.

Ma le bugie e le rappresentazioni distorte non sono la parte peggiore di tutto questo. È l'attacco diretto alle ultime vestigia di umanità e dignità del popolo palestinese ciò che fa più rabbia. I palestinesi in Israele hanno mostrato la loro solidarietà agli abitanti di Gaza e vengono ora bollati come quinta colonna all'interno dello Stato ebraico; il loro diritto a rimanere nella loro patria è messo in dubbio data la mancanza di supporto all'aggressione israeliana. Tra coloro i quali acconsentono – a torto, a mio parere – ad apparire nei media locali vengono interrogati, e non intervistati, come se si trovassero nella prigione dello Shin Bet. La loro entrata in scena è preceduta e seguita da umilianti sottolineature razziste e sono accusati di essere una quinta colonna, gente irrazionale e fanatica. Ma questa non è nemmeno l'abitudine più indecente. Ci sono alcuni bambini palestinesi dei Territori Occupati curati dal cancro in ospedali israeliani. Dio sa quale prezzo abbiano pagato le loro famiglie perchè venissero ricoverati là. Israel Radio si reca ogni giorno all'ospedale per domandare ai poveri genitori di dire agli ascoltatori israeliani quanto giusto sia Israele nei suoi attacchi e quanto malvagio sia Hamas nella sua difesa. Non c'è limite all'ipocrisia che una giusta furia produce. Il discorso di politici e generali oscilla senza posa tra l'autocompiacimento per l'umanità che l'esercito dimostra nelle sue operazioni "chirurgiche" da un lato, e il bisogno di distruggere Gaza una volta per tutte, in modo umano ovviamente, dall'altro.

La giusta furia è un fenomeno costante nell'espropriazione, oggi israeliana e a suo tempo sionista, della Palestina. Ogni atto, che si trattasse di pulizia etnica, occupazione, massacro o  distruzione è sempre stato ritratto come moralmente fondato e come un puro atto di autodifesa perpetrato in modo riluttante da Israele nella sua guerra contro la peggiore specie di esseri umani. Nel suo eccellente volume The Return of Zionism: Myths, Politics and Scholarship in Israel, Gabi Piterberg esplora le origini ideologiche e il progredire storico di questa giusta furia. Oggi in Israele, da sinistra a destra, dal Likud alla Kadima, dal mondo accademico ai mezzi di informazione, si può ascoltare questa giusta furia di uno Stato che è più occupato di qualsiasi altro nel mondo a distruggere ed espropriare una popolazione autoctona.

È cruciale analizzare le origini ideologiche di questa attitudine e trarne le necessarie conclusioni politiche a partire dalla sua diffusione. Questa giusta furia ripara la società e i politici in Israele da ogni rimprovero o critica all'estero. Ma ancor peggio, si traduce sempre in politiche di distruzione nei riguardi dei palestinesi. Senza alcun meccanismo di critica interna e pressioni dall'esterno, ogni palestinese diventa un potenziale bersaglio di questa furia. Data la potenza di fuoco dello Stato ebraico può solo finire inevitabilmente in più omicidi di massa, stragi e pulizia etnica.

La convinzione a priori di essere nel giusto è un potente atto di abnegazione e giustificazione. Essa spiega perchè la società ebraica israeliana non si lascerebbe influenzare da discorsi sensati, punti di vista logici o dal dialogo diplomatico. E se non si vuole appoggiare la violenza come strumento per contrastarla, c'è solamente un'altra via davanti a noi: sfidare frontalmente questa cieca convinzione morale come una cattiva ideologia che si propone di occultare delle atrocità. Un altro nome di quest'ideologia è quello di Sionismo, e una condanna internazionale nei confronti del Sionismo, non solo nei casi di specifiche politiche di Israele, è il solo modo per respingerla. Dobbiamo provare a spiegare non solo al mondo, ma anche agli israeliani stessi, che il Sionismo è un'ideologia che appoggia la  pulizia etnica, l'occupazione, e ora l'omicidio di massa. Ciò di cui ora si sente il bisogno non è solo di una condanna della strage in corso, ma anche della delegittimazione di un'ideologia che produce quella politica e la giustifica moralmente e politicamente. Lasciateci sperare che voci significative nel mondo dicano allo Stato ebraico che questa ideologia e l'intera condotta dello Stato sono intollerabili e inaccettabili e fintanto che persistano, Israele verrà boicottata e  sarà soggetta a sanzioni.

Ma non sono un ingenuo. So che persino l'uccisione di centinaia di palestinesi innocenti non sarebbe sufficiente a produrre un tale cambiamento nell'opinione pubblica occidentale; ed è persino più improbabile che i crimini commessi a Gaza spingano i governi europei a cambiare la loro linea politica nei riguardi della Palestina.

Eppure, non possiamo permettere che il 2009 sia solo un altro anno, meno carico di significato del 2008, l'anno commemorativo della Naqba, e che non ha mantenuto le grandi speranze che noi tutti nutrivamo per il suo potenziale di trasformare radicalmente l'attitudine del mondo occidentale verso la Palestina e i palestinesi.

Sembra che persino i più orrendi crimini, come il genocidio di Gaza, siano trattati come eventi avulsi dal contesto, svincolati da ogni evento del passato e da ogni ideologia o sistema. In questo nuovo anno, dobbiamo provare a fare in modo che l'opinione pubblica riconsideri la storia della Palestina e le malefatte dell'ideologia Sionista come i migliori mezzi sia per spiegare le operazioni di genocidio come quello in corso a Gaza che come un modo per prevenire eventi peggiori a venire.

Nelle realtà accademiche, questo è già stato fatto. La nostra principale sfida è quella di trovare una modalità efficace per spiegare il collegamento tra l'ideologia Sionista e le passate politiche di distruzione, fino alla crisi attuale. Potrebbe essere più agevole farlo mentre, sotto le circostanze più terribili, l'attenzione mondiale è rivolta ancora una volta alla Palestina.  Sarebbe persino più difficile in tempi in cui la situazione possa sembrare "più tranquilla" e meno drammatica. In tali momenti di "rilassamento", la soglia d'attenzione limitata dei mezzi di informazione occidentali marginalizzerebbe ancora una volta la tragedia palestinese, trascurandola per via degli orribili genocidi in Africa o per via della crisi economica e degli scenari ecologici da giudizio universale nel resto del mondo. Sebbene sia improbabile che l'informazione occidentale sia interessata a fare scorte di storia, è solo attraverso una valutazione storica che la mole dei crimini commessi contro il popolo palestinese nel corso degli ultimi sessanta anni può essere esposta. Quindi, è compito di un mondo accademico militante e dei media alternativi quello di insistere su tale contesto storico. Queste figure non dovrebbero sottrarsi, storcendo il naso, dall'informare l'opinione pubblica, e se tutto va bene persino dallo spingere i politici più attenti a guardare agli eventi con una prospettiva storica più ampia.

In modo analogo, potremmo essere in grado di trovare un modo più comprensibile, paragonato a quello accademico e intellettuale, di spiegare chiaramente che la politica di Israele degli ultimi sessanta anni deriva da una ideologia razzista egemonica chiamata Sionismo, protetta da infiniti strati di giusta furia. A dispetto della prevedibile accusa di antisemitismo e quant'altro, è il momento di associare nella mente pubblica l'ideologia sionista con gli oramai noti capisaldi storici del Paese: la pulizia etnica del 1948, l'oppressione dei palestinesi in Israele durante i giorni del governo militare, la brutale occupazione della Cisgiordania e ora la strage di Gaza. Tanto quanto l'ideologia dell'Apartheid ha spiegato le politiche oppressive del governo sudafricano,  questa ideologia -nella sua versione più condivisa e semplicistica- ha permesso a tutti i governi israeliani del passato e del presente di de-umanizzare i palestinesi ovunque essi si trovino e di aspirare a distruggerli. I mezzi sono cambiati da un periodo all'altro e da un posto all'altro, così come i racconti che nascondevano queste atrocità. Però c'è un modello chiaro che non può essere discusso esclusivamente nelle torri d'avorio accademiche, ma che deve fare parte del discorso politico sulla realtà contemporanea della Palestina oggi.

Alcuni di noi, vale a dire coloro i quali sono impegnati per la pace e la giustizia in Palestina, eludono inconsapevolmente questo dibattito concentrandosi, e questo è comprensibile, sui Territori Occupati Palestinesi (OPT) -la Cisgiordania e la Striscia di Gaza. Combattere là contro le politiche criminali è una missione urgente. Ma questo non dovrebbe far passare il messaggio che i poteri presenti in Occidente hanno adottato con gioia su suggerimento d'Israele: che la Palestina è solo la Cisgiordania e la Striscia di Gaza, e che i palestinesi sono unicamente le persone che vivono in quei territori. Noi dovremmo ampliare la rappresentazione della Palestina in senso geografico e demografico compiendo una narrazione storica degli avvenimenti del 1948, e richiedere pari diritti umani e civili per tutte le persone che vivono, o un tempo vivevano, in quelli che oggi sono Israele e gli OPT.

Collegando l'ideologia Sionista e le politiche del passato alle presenti atrocità, saremo in grado di fornire una spiegazione logica e trasparente alla campagna di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni. Sfidare con mezzi nonviolenti uno Stato ideologico che non ammette dubbi circa la propria rettitudine e che si permette, aiutato da un mondo taciturno, di espropriare e distruggere la popolazione autoctona della Palestina, è una causa giusta e morale. Sarebbe inoltre un modo efficace per stimolare l'opinione pubblica, non solo contro l'attuale politica di genocidio a Gaza, ma se tutto va bene anche per prevenire future atrocità. Ma in misura più importante di ogni altra cosa, sgonfierebbe la bolla della giusta furia che soffoca i palestinesi ogni volta che fa la sua comparsa. Aiuterebbe a far cessare l'immunità occidentale all'impunità d'Israele. Senza quell'immunità, si spera che sempre più persone in Israele comincino a vedere la reale natura dei crimini commessi in loro nome e che la loro furia si rivolga contro chi ha intrappolato loro e i palestinesi in questo inutile ciclo di spargimento di sangue e  violenza.

Ilan Pappé

(Israel's righteous fury and its victims in Gaza)

The Electronic Intifada, January, 2nd 2009

venerdì 9 gennaio 2009

Calendario Droghe 2009

Da lunedì 12 gennaio il calendarioDroghe 2009 sarà acquistabile online sul sito di Agenzia X oppure direttamente in redazione (via pietro custodi 12, Milano).
14 scatti del fotografo Alessandro Calderoni, una sostanza per mese, una sola modella: Tekla Taidelli, regista del film Fuori Vena.
Ecco cosa scrive a proposito di questo lavoro il fotografo:

Nel 2005, alla presentazione del mio primo libro, "Sopra le righe", un'inchiesta sul marketing degli stupefacenti, conobbi Tekla Taidelli, una giovane regista punk completamente fulminata ma decisamente creativa e molto brava nel gestire un linguaggio filmico crudo e diretto. Tre anni dopo, ci siamo risentiti e abbiamo deciso di creare un calendario un po' punk, un po' provocatorio, un po' postmoderno. Due ore di brainstorming, una settimana per i materiali, 14 ore di shooting, altrettante di editing ed è nata l'opera che vi metto a disposizione qui: dodici mesi per dodici tipi di stupefacenti. Naturalmente Tekla è la "modella", io sto dietro la macchina fotografica, come al solito. Con l'aiuto di Marta Confalonieri (make up artist), Cristina Piccinelli (costumista) e Ambra Terzi (scenografa), è venuto un buon lavoro. Potete scaricare le immagini, stamparvele o diffonderle (ricordando sempre i credit, please). Con i nostri migliori auguri...
Alessandro Calderoni

giovedì 8 gennaio 2009

nuovo anno

Eccoci di nuovo, nonostante la neve.

Prima di tutto grazie, anche se in ritardo, per l'incredibile partecipazione al (no)X(mas)party, che ha visto la redazione di AgenziaX contenere a fatica oltre un centinaio di amici, lettori, curiosi.
Grazie, davvero, a tutti.

Ieri, poi, è uscito su Dnews, il free press, un interessante articolo sullo steampunk, dalla moda allo stile di vita, a firma di Angelo DiMambro, che per una buona parte si occupa della Guida steampunk all'apocalisse. Lo trovate in rassegna stampa.

Altra importante novità: sono aperte le iscrizioni per il laboratorio di scrittura di Agenzia X, Scrittura teppista. Si tratta di 10 incontri di due ore ciascuno (da febraio e aprile, i martedì dalle 20 alle 22) tenuti da Marco Philopat e dalla redazione di Agenzia X, per sviluppare e affinare le capacità di scrittura.
Per tutte le info, cliccate QUI, oppure scrivete a press@agenziax.it, oppure chiamateci, perché no, allo 0289401966.