mercoledì 28 gennaio 2009

Vincenzo Latronico e Kurt Vonnegut a proposito di Cox 18


Lo scrittore Vincenzo Latronico da qualche tempo tiene una rubrica settimanale all'interno della trasmissione Flatlandia di Radio onda d'urto, durante la quale si mette in contatto con Kurt Vonnegut, nell'aldilà, tramite uno speciale telefono progettato dallo stesso scrittore americano,lo Hooligan. Con lui commenta le notizie della settimana.
Questa rubrica si chiama Mai più soli, e nella puntata andata in onda lunedì 26 gennaio si parla dello sgombero di Cox 18.
Eccovi il testo, ovviamente ringraziamo Vincenzo (e Kurt, ci mancherebbe altro!).



Kurt Vonnegut non è mai stato a Milano, o perlomeno non se lo ricorda. Ma quando ha saputo dei bombardamenti che Milano ha subito nella seconda guerra mondiale, delle ricostruzioni frettolose e invadenti, mi ha detto di essere contento di non averla mai vista. “Per fortuna che non ci sono mai stato”, mi ha detto Kurt. “Non so cosa avrei provato, passeggiando per il centro ricostruito, per le vie di marmo lucido. Sarebbe stato come fare l’amore durante un’autopsia.”
Kurt Vonnegut non è mai stato a Milano, quindi non ha reagito immediatamente, l’altro giorno, quando dal mio capo dello Hooligan gli leggevo la rassegna stampa della settimana, per la prossima puntata di Mai più soli. No, non ha reagito quando gli ho detto dello sgombero, a Milano, del centro sociale Cox 18, ma da quelle parti passava una figura lucidissima e circospetta, che, appena lo ha sentito, gli ha strappato di mano la cornetta e ha chiesto maggiori informazioni. “Merda”, si è limitato a dire.
Quella persona è Primo Moroni, ballerino e libraio, e alcune altre cose. Aveva una libreria nel quartiere ticinese, a Milano, la Calusca City Lights. Una quindicina di anni fa l’aveva trasferita al Cox 18. Era una libreria, era un archivio, era il centro di documentazione sui movimenti operai e studenteschi più importante d’Italia. Lo è ancora, ma ci sono i sigilli, davanti, c’è la polizia.
Primo non ha voluto dire niente di quello che è successo, non prima di aver capito esattamente cosa è successo. Non riusciva a spiegarsi quale interesse potesse avere il comune a chiudere un bene di tutti, come il Cox. Non capiva la loro strategia. Ha chiesto consiglio a un esperto, che ha detto che neppure lui capiva cosa gli passasse per la testa.
“No, proprio non capisco”, ha detto l’esperto. “Cioé, capisco questa Moratti dove vuole andare a parare, approvo anche, volendo. Lo sgombero, le cariche, le antisommossa… sembrava aver imparato proprio bene. Eppure non capisco perché non ha ancora fatto sbudellare gli occupanti e violentato le loro donne. Sai, Primo”, gli ha detto Attila, il re degli Unni, “i nostri tempi si faceva così.”
Comunque. Primo non ci ha messo molto a rendersi conto che se le cose vanno avanti così, i luoghi di resistenza a Milano avranno vita breve. “Certo”, ha detto poi, “a quel punto la resistenza si sposterà altrove, e anche questi altri posti verranno sgomberati: le librerie, le biblioteche, i circoli culturali, le Arci, e così via, come i birilli… Spero che ci sia un bel corteo quando alla fine decideranno di sgomberare anche l’ospedale Niguarda.”

Kurt, però, ligio allo spirito bipartisan che anima la linea politica di Radio Onda d’Urto, mi ha detto di ricordare anche gli aspetti positivi di questa città del nord che sembra un corpo sotto anatomia. Mi ha detto di ricordare dei grandi lavori che si stanno facendo per proiettarci in un futuro pieno di grattacieli e cose luccicanti, un futuro vicino vicino, l’Expo 2015. Proprio mentre me lo diceva, poi, si è fatto avanti un ragazzo arrivato alcune settimane fa, e rimasto sempre in silenzio, se si esclude un breve flirt con Ignazio di Loyola. Nessuno sa come si chiami, e anche da noi i giornali non lo hanno detto, ma faceva il muratore, lavorava alla periferia nord di Milano, vicino casa mia, ed è precipitato da una gru che lavorava e lavora ancora, giorno e notte, alla costruzione di due grattacieli. Mentre precipitava, ci ha raccontato, avrebbe voluto agitare le braccia come una grossa farfalla nordafricana, ma non poteva, perché le braccia se le era rotte schiantandosi contro una putrella nei primi metri della caduta.
“Sbandieravano al vento come mantelli!”, ci ha spiegato. Lui, ci ha detto, voleva rappresentare la voce bipartisan della trasmissione. Milano, ha detto poi, starà anche sgomberando un pezzo della sua anima e delle sue viscere, ma ha grandi progetti per il futuro. I grattacieli trasparenti, i parcheggi, tutto questo gli sembra un ottimo auspicio, e ce lo ha detto.
“Mi sembra un ottimo futuro”, ci ha detto. “Un futuro per cui sono felice di aver lavorato, e di essere morto così. No, sul serio”, ha proseguito, pensandoci un po’. “Non mi dispiace di essere morto volando giù da una gru per costruire grattacieli di appartamenti di lusso. Mi sembra una morte con uno scopo. Sono morto per produrre settemila euro al metro quadro. È qualcosa. È molto meglio, ad esempio, che essere morto per niente in Irak.”

Qui Vincenzo Latronico, dalla periferia nord di Milano, in collegamento con Kurt Vonnegut, dall’aldilà. Milano tua mamma.

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